#RomaFF14 – Quei magnifici anni ’70… Incontro con Bret Easton Ellis

L’avvertimento di Bret Easton Ellis: la cultura sta andando alla deriva. Solo il brand conta. Ce ne parla partendo dal cinema dei “suoi” anni Settanta, e affrontando anche la “polemica Marvel”

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Sono anni che Antonio Monda prova ad averlo come ospite, e oggi al suo quarto mandato, in questa edizione numero quattordici, ce l’ha fatta: Bret Easton Ellis, una delle più grandi voci della narrativa contemporanea è finalmente arrivato a Roma per parlarci di cinema e letteratura sullo sfondo di una società alla deriva.

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In questi giorni è uscito, pubblicato da Einaudi, il suo ultimo libro, Bianco, lucidissima raccolta di saggi/invettiva dal gusto polemico, sin dallo stesso titolo, che in origine doveva essere Maschio, bianco, privilegiato. Una dichiarazione di poetica più che manifesta nell’America trumpiana, machista e xenofoba.

La sua è una decostruzione di quella cultura liberal che vede nel capitalismo latente di fisheriana memoria una risorsa da osannare e proteggere, quella cultura social dell’apparire e del postare che ci vuole tutti simili, tutti belli e tutti arrabbiati. Insomma, una società in cui non c’è spazio per l’espressione individuale dell’artista. Per non parlare del fatto che queste piattaforme digitali non sono altro che un ricettacolo di odio e rabbia.

«Tutti vengono trattati male sui social. Ecco perché lo definisco uno strumento tossico. Basti pensare a quello che si sta scatenando oggi in merito alla “polemica Marvel”. Un maestro come Coppola è definito vecchio rimbambito – o peggio – per via delle sue dichiarazioni contro i comic movies, ma è normale che un autore come del suo calibro prenda questa posizione. I film Marvel hanno spazzato via il sogno di un cinema intellettuale da un lato ma anche capace di vendere, e con lui l’ideale connubio di arte e capitalismo. Ma, attenzione, anche questi film sono dei miraggi. Io credo che siano opere blande e conformiste che parlano di miliardari senza forzare lo status quo. Per me non è arte, non c’è una voce autoriale. Sono solo il prodotto di una società sempre più brandizzata e consumista »

Non nasconde la sua nostalgia per un’epoca d’oro Ellis, che in Bianco come nel nostro incontro di oggi sceglie – non senza una certa retromania – di partire dai mitici Seventies:

«Sono nato nella giusta epoca», ammette, «è stato un periodo di suggestioni romantiche: dai giovani e talentuosi registi della New Hollywood, all’horror, alla fantascienza, alle commedie romantiche… E’ stato veramente eccitante essere un teenager negli anni Settanta!».

Qualcuno tra i presenti sposta invece l’attenzione sul rapporto tra libri e letteratura, chiedendo ad Ellis un parere sui film tratti dai suoi libri, e anche qui l’autore si dimostra tranchant, rispolverando la celebre “massima” hollywoodiana che vuole che «da brutti libri escano fuori bei film e che invece i bei libri portino sullo schermo film deboli».

«Certi libri sono troppo grandi per il cinema. Pensiamo a Fitzgerald ed al suo Gatsby. E’ impossibile intrappolarlo sullo schermo rendendogli giustizia. L’esperienza di leggere un romanzo è totalizzante. Ci sono poi certi narratori che riescono a dare una carica cinetica ai loro romanzi, come Stephen King. Ma i miei modelli restano i classici, Tolstoj, ovviamente, poi Flaubert con la sua straordinaria Educazione sentimentale….Per favore facciamone una serie!».

Simon Reynolds probabilmente ci metterebbe in guardia da questa ossessione per il passato da cui è così difficile uscire, ma poche voci hanno una forza così dirompente come quella di Bret Easton Ellis…

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