#RomaFF14 – Share, di Pippa Bianco

La condivisione continua non ci avvicina comunque alla verità, alla prova decisiva, allo svelamento incontrovertibile nella dispersione dei video tra gli smartphone, come impara Mandy sul suo corpo

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Come in Waves, visto sempre all’Auditorium e pure quello targato inequivocabilmente A24, anche in questo esordio di Pippa Bianco, basato sul suo cortometraggio con lo stesso nome, per mappare i peregrinaggi all’alba dei figli adolescenti, per intere generazioni rimasti avvolti nei segreti e nei misteri inviolabili dell’a che ora sei rientrato stanotte?, ad un genitore basta oggi seguire le stories che i pargoli lasciano istantaneamente sul web. Nel film di Trey Edward Shults il padre e la madre dei due protagonisti inseguono letteralmente le fughe dei due figli tracciando i loro live sui social, ma arrivano puntualmente un attimo troppo tardi – in Share, è già il verbo nel titolo a raccontare dell’esigenza più viscerale percepita dal quotidiano dei millennials.
Solo che questa condivisione continua non ci avvicina mai davvero a conoscere la verità, e ad aggrappare l’immagine decisiva, lo svelamento incontrovertibile: nella dispersione dei video ripresi dagli smartphone e delle foto che girano tra le chat non è mai realmente contenuta la prova schiacciante (lo imparammo già nel 2001 di Genova e NY, in epoca handycam…), su quanto sia successo alla protagonista 16enne Mandy, che al risveglio da una notte di bagordi dove aveva finito per perdere conoscenza, ritrova un video diventato subito virale sulle bacheche dei suoi compagni di high school in cui un gruppo di ragazzi sembra approfittare di lei mentre è svenuta. Mandy non ricorda nulla di quella notte, però ha delle pesanti abrasioni sulla schiena che non lasciano troppi dubbi sulla violenza subita. Cos’è veramente accaduto? Fino a che punto si sono spinti questi sbruffoncelli da parcheggio di 7-Eleven di periferia?

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Chiunque abbia visto almeno un episodio di prodotti come 13 su Netflix sa già che la ricerca di rivelazioni e colpevoli porterà con sé lo shaming prima dei corridoi di scuola, dei refettori e degli spogliatoi, e poi dell’intera comunità risvegliata dall’interesse spietato dei tabloid, tensioni con i genitori ossessionati dall’incastrare la famiglia dei responsabili nonostante le mani legate della giustizia istituzionale (l’unico procedimento possibile è quello per “video-voyeurismo”), deviazioni e improvvisi colpi di scena tra gli screenshot e i messaggi privati poi prontamente cancellati.
C’è di mezzo HBO dunque l’intero flusso della narrazione assume da subito il mood delle sedute di ipnosi che Mandy affronta per tentare di recuperare il ricordo di quanto accaduto durante il suo blackout alcolico: l’abituale messinscena da dormiveglia farmacologico che oramai riconosciamo a numerose propaggini del network americano, qui accentuata e veicolata dalla soundtrack del producer losangelino Shlohmo, rarefatta e sintetica come si conviene.
In qualche maniera, lo strumento elettronico per l’EMDR che lo psichiatra utilizza per indurre la memoria del trauma alla protagonista potrebbe rappresentare, da un punto di vista sia concettuale che puramente di palette, la metafora più calzante di questo cinema tutto intento a codificare una vera e propria estetica dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing…

 

Titolo originale: id.
Regia: Pippa Bianco
Interpreti: Rhianne Barreto, Charlie Plummer, Poorna Jagannathan, J.C. MacKenzie, Nicholas Galitzine
Distribuzione: Sky
Durata: 87′
Origine: USA, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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