#RomaFF14 – The Report, di Scott Z. Burns

Dallo sceneggiatore di Steven Soderbergh un film democratico e politico come se ne facevano negli anni ’70. Con un ottimo Adam Driver.

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Nel dicembre 2014  fu pubblicato un rapporto sulle torture compiute dalla Cia nei confronti dei prigionieri politici. I nuovi metodi della lotta al terrorismo iniziarono all’indomani dell’11 settembre. Per diversi anni l’opinione pubblica americana e la Casa Bianca rimasero all’oscuro, per poi ricevere rassicurazioni e statistiche sull’efficacia di questi interrogatori disumani che le pagine del dossier rivelarono completamente false. Fu un team organizzato dalla senatrice Diane Feinstein (Annette Bening) e coordinato da Daniel Jones (un ottimo Adam Driver) a scoprire il vaso di Pandora. L’indagine iniziò nel 2009 e durò cinque lunghi anni di intralci, trattative, omissioni.

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Quella di Daniel Jones, il protagonista di questo film scritto e diretto da Scott Z. Burns (Contagion, The Bourne Ultimatum, Effetti collaterali, Panama Papers), è una parabola di giustizia, di ricerca della verità, ma anche un viaggio in una delle pagine più oscure delle recente storia americana. The Report è uno di quei film che abbiamo già visto altre volte, ma che vogliamo/dobbiamo continuare a vedere se si crede in una dimensione civica dell’intrattenimento. Un’opera rigorosa che racconta la democrazia al lavoro, inevitabilmente figlia di quel cinema politico americano partorito dagli anni ’70. Il riferimento principale è ancora una volta Tutti gli uomini del presidente e non potrebbe essere altrimenti dal momento che il film di Pakula è uno dei grandi capolavori del cinema americano, fondamentale nella formazione cinematografica ed etica di Burns e del suo mentore – qui nelle vesti di produttore – Steven Soderbergh. E The Report ne recupera lo stile asciuttissimo, le scenografie essenziali, una scrittura giornalistica attentissima ai dettagli tecnici delle indagini, alle testimonianze, ai fatti.

Nell’affastellamento di dati e di dialoghi consumati tra claustrofobici seminterrati e le stanze del potere, lo sceneggiatore e regista compie scelte anche radicali, come quella di annullare completamente la dimensione intimista e privata del protagonista e concentrarsi interamente e ossessivamente nel suo lavoro, o quella di mostrare le torture della Cia evitando qualsiasi forma di morbosità voyeuristica. Una piccola lezione di sguardo, di scrittura, di stile.

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