#RomaFF14 – Vinicio Marchioni racconta Il terremoto di Vanja – Looking for Anton Cechov

Alla Festa del Cinema di Roma, accompagnato dai suoi collaboratori, Vinicio Marchioni ha raccontato la nascita e l’evoluzione dell’esperimento su Zio Vanja

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“Quelli che vivranno dopo di noi, fra due o trecento anni e ai quali stiamo preparando la strada, ci saranno grati? Si ricorderanno di noi con una parola buona?” (Anton Čechov)

Con questa frase Vinicio Marchioni riassume le motivazioni che hanno dato vita e che caratterizzano Il terremoto di Vanja – Looking for Anton Čechovprima esperienza alla regia per l’attore.

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In anteprima mondiale nella sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma, all’Auditorium arrivano a presentarlo Milena Mancini, Vinicio Marchioni, Pepsy Romanoff, Maurizio Vassallo, Simone Isola e Aliona Shumakova.

“Il viaggio è iniziato cinque anni fa, io e Milena dovevamo mettere in scena Zio Vanja”, spiega Vinicio Marchioni, “Leggendo Zio Vanja, questa piantagione agricola piena di debiti, con questi coltivatori di 40 e 50 anni che già non avevano nessuna speranza per il futuro, in qualche maniera mi faceva pensare alla situazione italiana, alla crisi economica, alla crisi culturale, ai cinema e teatri che chiudevano. Quindi stavamo cercando una soluzione per sovrapporre la situazione italiana a quella della Russia di Anton Cechov.”

Il momento di svolta arriva nel 2016, in seguito alla scia di terremoti che ha colpito il centro Italia: “Io e Milena andiamo a trovare degli amici che abbiamo in provincia di Macerata e parlando con loro ci rendiamo conto che tutti quelli con cui parlavamo si esprimevano come i protagonisti di Zio Vanja: ‘la mia vita non c’è più’, ‘il mio passato non ritornerà mai più’. Quindi iniziamo a scrivere un adattamento: anziché parlare di una piantagione russa dell’800, inseriamo i personaggi in un teatro di provincia nelle zone colpite dal terremoto”.

Inizialmente il desiderio era quello di documentare le fasi di realizzazione dello spettacolo teatrale, come spiega Milena Mancini: “Nella prima fase delle riprese abbiamo avuto il supporto di Valeria Mottaran, che con la sua telecamera ci ha ripreso durante le prove, ma in realtà volevamo semplicemente avere un ricordo del lavoro che Vinicio stava facendo e che insieme stavamo costruendo. Poi è arrivato Pino Marino, che con le sue musiche, con la sua intuizione ci ha supportato.  Poi è arrivata tutta questa serie di persone che hanno creato questa grande famiglia, che è un concetto molto caro a Anton Cecov.”

Al progetto hanno preso parte molte personalità del mondo artistico, (Toni Servillo, Andrej Končalovskij, Gabriele Salvatores, Fausto Malcovati, Letizia Russo) e due attori che avevano già lavorato con Marchioni, Francesco Montanari e Lorenzo Gioielli. “Ho rincontrato due amici di Romanzo Criminale, racconta l’attore-regista. “Questa era la mia prima esperienza di regia teatrale, quindi sentivo la necessità di avere con me persone con cui avevo già una profonda confidenza e Francesco e Lorenzo sono due amici con cui sono rimasto in contatto al di là di quella serie. Volevo avere vicino persone che stimo e con cui è più facile le motivazioni più profonde per cui ho iniziato questo progetto.”

Proprio perché si trattava della sua prima volta alla regia, Milena Mancini afferma di aver voluto essere di supporto come autrice e scrittrice, ma di aver anche voluto osservare  Marchioni mentre si lanciava in questo progetto: “Per me questo è un film sulla resistenza: la resistenza dei sogni, la resistenza delle speranze. Quindi era importante supportare questa sua ossessione, questo suo sogno, anche di voler capire come attore che per la prima volta a teatro diventa regista. Capire, confrontandosi con un autore molto conosciuto, dove aveva sbagliato, dove aveva tenuto fede a quello che per lui era Anton Checov. Per questo era giusto supportarlo, ma anche lasciarlo da solo. In Russia è andato da solo, era giusto che quella parte di cammino la facesse da solo.”

Riguardo il viaggio in Russia sui luoghi di Cechov, la produttrice Aliona Schumakova ha commentato: “I russi sono rimasti colpiti dal vedere un italiano che viene a filmare nelle case museo di Checov. Io mentre osservavo loro filmare mi rendevo conto che Vinicio stava facendo un’operazione artistica incredibile che ormai andava oltre il teatro e diventava prettamente cinematografica: trasformava un museo in un racconto visuale, in un certo senso tradendo Cechov, perché omette la parola, ma esprimendolo col più minimo dettaglio della luce, dei suoi movimenti.”

Simone Isola ha affermato: “Vinicio è una persona che sente il fatto di essere un attore famoso anche come una responsabilità verso il pubblico  e di quello che si vuole proporre a un pubblico. La cosa che mi ha colpito quando mi parlò per la prima volta di questo progetto era: come si pone un attore, un regista, un produttore, quando porta la sua proposta in un contesto così colpito dal dramma? Lui ha fondato il film su questa domanda e ha dato una risposta complessa. E credo che sia una domanda che tutti dovremmo porci nella vita e per questo sono contento che il progetto sia riuscito.”

Le parole del produttore sono state confermate dal commento finale di Marchioni: “Tutto il discorso sulla plastica, sull’inquinamento, i ponti che crollano, e questo autore che nel 1896 scrive, come un ambientalista ante litteram, di quanto la natura sia importante nello sviluppo dell’essere umano, mi sembrava qualcosa su cui riportare l’attenzione di tutti quanti: riportare l’attenzione su queste persone che dopo dieci anni dal terremoto di  L’Aquila, da tre anni da quello di Amatrice, ancora vivono lì e decidono di rimanere lì attraverso lo sguardo compassionevole di Anton Cechov è la ragione per cui siamo qui oggi.”

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