#RomaFF16 – Incontro ravvicinato con Luca Guadagnino

Luca Guadagnino racconta al #RomaFF16 il cinema dei suoi maestri. Carpenter, Godard, Rossellini, Romero, Cronenberg, Bertolucci e Ōshima.

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Non esiste qualcosa che non puoi filmare, la vera sfida per un regista è il come filmarla.”

Guadagnino si trova seduto accanto ad Antonio Monda, direttore artistico della Festa del Cinema di Roma. Barba folta, un cappellino da baseball quasi gli nasconde gli occhi. Parla raggomitolato su se stesso, quasi nel tentativo di ripescare dentro di sé i ricordi più profondi legati alla sua adolescenza, passata nelle sale dei cinema palermitani. Ad esempio, quando a 13 anni, cerca disperatamente di vedere Prenom: Carmen, di Jean-Luc Godard. “Alla fine, anche se era vietato ai minori di 18 anni mi hanno fatto entrare, era pur sempre Palermo.”

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Il “padre” della Nouvelle Vague è uno dei sette protagonisti di questo ritorno alle origini di Guadagnino, che racconta tutto il suo amore nei confronti del cinema che l’ha forgiato.

Sette cineasti per sette clip che il regista di Chiamami col tuo nome commenta con grande entusiasmo, a partire dalla prima: Starman, di John Carpenter.

È il primo film che mi ha reso consapevole del talento smisurato di Jeff Bridges. Prima non ne avevo capito le potenzialità. Quando lo vidi, rimasi catturato dal suo personaggio. Tanto che nei miei primi film inserivo sempre un ringraziamento a lui, anche se, purtroppo, non l’ho mai incontrato. Parlando del regista invece, beh che dire: Carpenter mi ha formato. Questo credo sia il suo unico film d’amore, eppure è di una potenza incredibile.”

L’amore è dunque il file rouge delle clip che si susseguono, intervallate da brevi riflessioni del regista e del direttore. Un amore declinato sempre in contesti, epoche e significazioni completamente diverse. L’amore impossibile o meglio l’impossibilità dell’amore è il tema della seconda clip scelta da Guadagnino, tratta da Viaggio in Italia, di Roberto Rossellini. Il regista palermitano non ha dubbi nel dichiarare il suo amore verso il film e Rossellini, definito “il più grande cineasta mai vissuto”. Guadagnino si sofferma sul suo modo di gestire le inquadrature rispetto alla posizione degli attori, in nulla inferiore al livello raggiunto da Hitchcock.

“Rossellini mi sembra un regista inascoltato, ad oggi non trovo un suo erede. Forse ultimamente è stato un po’ dimenticato. Non perché poco popolare ma perché complesso. Ed è la sua complessità ad essere meno intellegibile.”

Dopo Rossellini e Godard, è il turno di Cronenberg (con La mosca) e la sua capacità di non usare mai il genere per dare allo spettatore un’impressione epidermica ma per regalargli sempre un’esperienza profonda e viscerale. C’è spazio anche per il rammarico di un’occasione che non si concretizzò:

Dovevo realizzare il progetto Body Art, avevo acquistato i diritti e scritto la sceneggiatura per Isabelle Huppert e… per David Cronenberg, dovevo dirigerlo. Lui aveva accettato ma poi non si è potuto realizzare nulla. Ci tengo a dire che non è assolutamente un uomo freddo e distaccato. È un uomo calorosissimo, di rara intelligenza.”

Il percorso di Guadagnino all’interno del proprio cinema di riferimento passa anche attraverso George Romero, la clip tratta da Zombi e la sua visione critica nei confronti degli Stati Uniti d’America, oggi più che mai attuale. “L’America che si auto mangia” è un’immagine emblematica del periodo post/pre Trump. Guadagnino afferma di averci riflettuto molto durante la sua permanenza nel Midwest, luogo che più rappresenta la divisione del paese.

L’incontro si chiude con le ultime due clip presentate da Guadagnino. Due scene che condividono la ricerca di un limite da superare da parte del regista. Il primo chiamato in causa è Bernardo Bertolucci, vero e proprio punto di riferimento per Guadagnino: “È il primo regista che mi ha catturato dalle interviste. Da ragazzino mi dicevo: voglio diventare come lui anche se non volevo fare i suoi film. Bertolucci torna mille volte nelle cose che ho fatto. Bernardo ha una capacità di interpretare il reale attraverso il filtro del cinema.” In questo senso, il rapporto incestuoso nel film La luna è un perfetto esempio di come un disagio reale possa essere rappresentato con grande coraggio, spazzando via qualsiasi tabù. I film di Bertolucci sono considerati maledetti e, per questo, da sempre esposti a qualsiasi tipo di censura. Stesso trattamento riservato a Nagisa Ōshima che Guadagnino omaggia scegliendo, come ultima clip, una scena di estremo erotismo tratta dal capolavoro L’Impero dei sensi.

È il primo film di Ōshima che ho visto e mi ha insegnato che non esiste qualcosa che non puoi filmare. Questa pellicola si concentra su tutto ciò che mi piace del concetto di rappresentazione. Il comportamento, lo stile, il linguaggio, tutto quello che vediamo è un tabù che ci sfida. Si tratta di una messa in scena radicale”.

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