#RomaFF16 – Incontro ravvicinato con Zadie Smith

La scrittrice britannica, dopo la folgorazione di Via col vento, ha raccontato il suo rapporto con il cinema attraverso cinque film. Ci sono Tarantini, Haneke e Minnelli

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Capisce l’italiano, ma risponde nello stesso perfetto inglese in cui scrive Zadie Smith durante l’Incontro Ravvicinato di cui è stata protagonista all’Auditorium. Alla domanda di Antonio Monda su quale sia il primo film visto nella sua vita risponde: “Probabilmente Via col vento, perché passava in tv ogni Pasqua in Inghilterra, quindi credo di averlo visto per la prima volta a 5 o 6 anni.” Zadie racconta di averlo guardato sempre con sua madre: “Entrambe amiamo il drama”. E riguardo alle polemiche sorte negli ultimi anni riguardo a certe tematiche del film e alle didascalie messe per inquadrare il periodo storico spiega: “Mi piace guardare delle opere d’arte come un mix di elementi, razzismo, femminismo, elementi drammatici, quindi non si può prendere un solo elemento, bisogna inquadrare il tutto”.

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Inizia la carrellata della cinquina preferita dall’autrice con Stormy Weather di Andrew L. Stone del 1943, un “old black musical shot in the middle of the war”. Parla della “persistenza nella comunità afro-americana” e parlando del Cotton Club: “è un posto molto interessante perché nell’orchestra jazz si inventa l’arte sul momento, senza alcun tipo di preparazione, attraverso una forma d’arte autocreata: è un miracolo. Il secondo film portato dalla Smith è Incontriamoci a Saint Louis di Vincent Minnelli. “Amo i film fatti dalla cultura come questo, nati quasi nel subconscio. Oggi i film Marvel ne sono un esempio”.

Poi iniziano i grandi titoli contemporanei. Uno, per una coincidenza, è quello di uno dei due Premi alla carriera di quest’anno, Jackie Brown di Quentin Tarantino. “I am a kid of the 90s” dice la Smith, ammettendo di essere stata stravolta dalla visione di Le iene. “Tarantino è molto simile ad Hitchcock, non c’è differenza fra film e sceneggiatura, il film è già lì dentro. Non c’è spazio per troppa improvvisazione”. Conclude poi spiegando il potere che ha il regista americano sui suoi attori. “Di nuovo come Hitchcock, vede l’essenza del carisma dei sui attori e in maniera si potrebbe dire aristotelica permette la totale immedesimazione dello spettatore nei personaggi che interpretano. Se non ami Pam Grier alla fine della prima sequenza del film, c’è qualcosa che non va in te. Tarantino crea dei veri e propri dei. Tutti conoscono Brad Pitt, ma ormai è la sequenza sul tetto senza maglietta in C’era una volta a…Hollywood ad essere diventata immortale.” Sempre in relazione alle capacità di Tarantino conclude: “Insieme forse a Scorsese in Taxi Driver è stato l’unico a capire che DeNiro è un silent actor, come Buster Keaton, che soltanto la sua faccia basta e per Jackie Brown ha appunto preso una star come lui per non farlo parlare quasi mai.” Infine scherza sul tema della vendetta nei film di Tarantino: “Mi piace chiamarli community revenge movies, ne sta facendo uno per ogni gruppo, io credo che dovremmo tutti averne uno!”.

Il quarto film è Il nastro bianco di Michael Haneke. “Mi piace come Haneke, a differenza dei registi dell’avant-garde, come Antonioni ad esempio, cura particolarmente l’aspetto narrativo. A volte certi autori sembrano guardare questo elemento dall’alto in basso”. Inoltre secondo l’autrice, il regista austriaco ha diretto un film “sul male”, sulla “perversità e la voglia pura e semplice di fare del male”. Non c’è bisogno di un’arte come “la vorrebbero gli americani”, ovvero un’arte che abbia sempre il dovere di “spiegare tutto”, ma a volte basta andare alla radice di un sentimento così primitivo e così banale, come lo definirebbe Hannah Arendt.

L’ultimo film è Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman. “Charlie sta cercando di fare film sulle idee e sul tema della mediazione. Ovviamente nella vita di tutti i giorni siamo tutti sottoposti a mediazioni di diverso tipo, ma la domanda è: “fino a che punto ci si può spingere?”. Una delle mediazioni che interessano Kaufman secondo Zadie Smith, sarebbe il tema della mediazione negativa messa in atto dalla televisione e dal cinema americano sugli spettatori. “Kaufman cerca un po’ di rompere alcuni schemi preconfezionati. Neflix glielo ha permesso e lui ha colto l’occasione. Non so quanto a Neflix abbia fatto piacere, ma io l’ho adorato” ha concluso la scrittrice.

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