#RomaFF17 – Amate Sponde. Intervista esclusiva a Egidio Eronico

Abbiamo incontrato il regista di Amate sponde, presentato al Roma Film Festival 2022, Egidio Eronico, tra architettura, disuguaglianze e Bach

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Presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle, Amate sponde è una ricognizione nel territorio italiano tutta condotta attraverso la musica e le immagini, senza alcun tipo di dialogo. Abbiamo intervistato il suo regista, Egidio Eronico.

Quanto è durata la lavorazione?

Le riprese sono avvenute dal 2019 fino al maggio 2022, con la pandemia in mezzo. Quattro anni di lavoro in 78 minuti.

Da dove nasce l’idea di Amate sponde?

Sono stato fino al ’93 architetto militante, ma poi ho scelto il cinema perché con due mestieri totalizzanti non ce la facevo fisicamente. Ma alla fin fine i miei film sono anche le mie architetture. Quindi per molto tempo mi sono documentato e ho studiato in maniera interdisciplinare. Con Amate sponde l’ambizione era quella di creare una ricognizione, un po’ una tomografia, del paese nella sua attuale fisionomia. La scommessa era farlo senza l’uso delle parole, solo con la forza delle immagini e dei suoni.

Fin dal primo momento, quindi, era previsto di non utilizzare la parola?

Sì. Fedele alla lezione di Sergej Ejzenstejn volevo che si sentissero le immagini e si vedesse la musica, per creare un’emozione fisica nello spettatore. Da questo punto di vista ho chiesto molto sia alla direttrice della fotografia, Sara Purgatorio, sia al compositore Vittorio Cosma. Con entrambi ho lavorato gomito a gomito.

Quando è stata pensata la musica? A partire dalla fine di un blocco di riprese o prima di tutto?

Dal primo secondo. La struttura stessa del film è ispirata a una suite inglese di Bach: c’è un prologo, dei movimenti, uno sviluppo, due ritorni. Ho poi proceduto per analogie e contrasti, con l’obiettivo di suggerire quello che noi italiani sappiamo fare. Non tutti sanno che siamo i numeri uno nel campo della robotica e che il 40% della stazione spaziale è, ad esempio, è progettata e realizzata in Italia. Non è poco. Volevo che si sentisse questa vertigine di una civiltà millenaria, figlia da Roma in giù della Magna Grecia, con dei momenti di grandezza altissimi che però convivono con dei grandi momenti di miseria.

Sono separabili queste due dimensioni?

Secondo me, no. Cerco di non mettere mai il dito nella piaga in Amate sponde. Per esempio, nello Zen di Palermo, in cui le condizioni di vita da quarto mondo, i bambini hanno un’energia incredibile. Una sensazione che ho provato anche quando ho lavorato in una favela a Manaus, in Brasile. Nell’indigenza più totale, la vita trova comunque la sua energia. Lì, tutto è lasciato a sé stesso, con cumuli di immondizia che sono costretti a bruciare per liberarsene, nonostante ci sia un comando di Carabinieri e di Polizia Municipale. Eppure, tutto rimane così. Gli unici che si impegnano per lo Zen sono delle insegnanti che combattono contro un tasso altissimo di abbandono scolastico. È il paradosso di questo paese: si costruisce una stazione spaziale, ma non si riesce a risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti da Nord a Sud.

Da architetto, pensa che in qualche modo sia anche la struttura dei luoghi che obbliga chi li abita a vivere in un certo modo?

Tanto Gregotti, l’ideatore dello Zen, tanto Fiorentino per il quartiere Corviale di Roma e del quale sono stato allievo si sono giustificati dicendo che il progetto era molto diverso dalla realizzazione. Un architetto lavora in senso ideale, quasi ottimistico, ma poi si deve scontrare con delle leggi che sono spesso antiquate. Oltretutto, spesso si progetta senza considerare il collaudo umano. Da questo punto di vista l’urbanistica in quanto disciplina, soprattutto quella del secolo scorso, è stata un fallimento.

L’architettura del film è desunta da Bach, ma quali luoghi mettere in quale sezione del film era già stato pensato?

Lavoro sempre con un decoupage preventivo, poi però il montaggio è la vera scrittura del film secondo me. Non è mai stato un processo problematico, ma sicuramente onnipresente nella realizzazione. Abbiamo lavorato per contrasti e analogie per sottolineare la disuguaglianza che caratterizza il paese, il suo problema più grande.

Quale sarà il percorso di Amate sponde dopo la Festa del cinema di Roma?

Il film uscirà in sala, poi c’è la possibilità che possa diventare una video-installazione, riprendendo anche il materiale che non ha trovato spazio nel lungometraggio.

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