RomaFictionFest 2009 – "Seven Ages of Rock", ep.3 e 6

seven ages of rock - alternative rock

Il terzo episodio della serie che la BBC dedica alle sette età del rock e diretto da Alastair Laurence è dedicato al punk. Nel sesto invece Robert Murphy racconta le sesta età del rock, la piccola rivoluzione musicale che scoppiò nei primissimi anni ’90, e che ebbe una genesi per molti versi simile a quella del punk. Interviste, filmati di repertorio, tanta musica, e la voce narrante di Enrico Ruggeri per l'edizione italiana

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ep.3 “Blank Generation”
Punk 1973-1980
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seven ages of rock - il punkIl terzo episodio della serie che la BBC dedica alle sette età del rock e diretto da Alastair Laurence è dedicato al punk.
La generazione che, con non poco autocompiacimento, ama definirsi “vuota” è stanca del rock pomposo, dei virtuosismi, degli assoli infiniti e dei mostri sacri del rock degli anni ’70. The times they are a changin’. Il mondo occidentale è scosso dalla crisi del petrolio e dalla recessione. Le idee e le speranze degli anni ’60 si stanno dissolvendo. La storia del punk è la storia parallela di due città. Londra e New York a metà degli anni ’70.
In America le influenze di gruppi in qualche modo proto-punk come i Velvet Underground, gli Stooges e New York Dolls, in Inghilterra gli Who e gli Small Faces. New York e Londra sono due campi magnetici carichi di energia. E il 1976 è l’anno in cui esplode definitivamente.
Il percorso di Laurence è ricco di immagini di repertorio, di testimonianze e di interviste ai grandi superstiti della blank generation. Una corsa veloce verso il trionfo, l’esplosione di un’energia rabbiosa e salvifica. In un’ora scarsa di documentario i pionieri del punk parlano con Laurence in modo naturale e rilassato. A New York Debbie Harry cerca di dominare un raffreddore fastidioso mentre racconta i primi concerti ai quali ha assistito. Sempre a New York Laurence incontra l’ultimo superstite dei Ramones, Tommy Ramone. E poi Lenny Kaye e Jee Dee Daugherty del Patty Smith Group, che mostrano come tre semplici accordi di chitarra e un crescendo di poesia hanno regalato al mondo “Horses”.
John Lydon, con la sua consumata espressione da istrione spiritato, racconta aneddoti sulla “sua” nascita del punk. E poi, perla suprema, a Londra, Glen Matlock, vera “mente” dei Sex Pistols, rivela senza pudore di aver trovato l’ispirazione per il riff di “Pretty Vacant” in un pezzo degli Abba.
Ancora a Londra Pete Shelley dei Buzzcocks e Viv Albertin delle Slits.
Londra e New York. Le due città si contrappongono per le loro diverse attitudini punk. E tuttavia si sovrappongono in un gioco infinito di rimandi e di innegabili influenze. “The Blank Generation” è un viaggio stra-ordinario da una parte all’altra del globo, da un polo magnetico all’altro. Un omaggio doppio a due città e ai loro artisti. All’energia elettrica che hanno scatenato. E che ha restituito al mondo, almeno per un po’, la purezza del rock. Entusiasmante.

ep. 6 "Left of the Dial"
Alternative Rock 1980-1994

La piccola rivoluzione che scoppiò nel rock nei primissimi anni ’90 ebbe una genesi per molti versi simile a quella del punk. Musica seven ages of rock - alternative rockautentica e spesso rozza, chitarre distorte. Per scacciare via il rock mainstream di sintetizzatori e capelli cotonati degli anni ’80.
Robert Murphy racconta le sesta età del rock. Il rock alternativo. Partendo dai primissimi anni ’80 e da gruppi come Black Flag e Husker Du. Veri eroi sotterranei, che hanno attraversato le viscere dell’America reaganiana degli anni ’80, suonando in luoghi improbabili, con un audio terrificante. Riuscendo a tenere testa alla povertà di risorse e di “marketing”, e soprattutto alle incredibili levate di scudi con cui gruppi di genitori indemoniati ( ma poi da dove attingevano tanta convinzione e tanta conoscenza di gruppi rock così marginali, le anime pie e prive di internet del 1985??) in sperdute città di provincia della Middle America amavano talvolta accoglierli.
Le gesta di siffatti eroi, come il successo sempre più commerciale e mondiale di una band di pop-rock alternativo come i R.e.m., insieme alla diffusione delle college radio che trasmettevano brani dei Pixies o dei Sonic Youth. Tutti piccoli segnali.
Negli anni ’80 chi era alla ricerca di qualcos’altro girava la manopola della radio a sinistra. Left of the dial, come cantavano i Replacement.
Quei gruppi sotterranei, quella musica ancora nascosta erano i piccoli segnali che sarebbero esplosi in una miscela di influenze eterogenee e incredibilmente armoniose. Nella piccola rivoluzione che nei primi anni ’90 partì da Seattle. Da una grande città nel freddo Nordovest degli Stati Uniti, famosa fino ad allora per il suo Space Needle, per Starbucks e per la produzione di legno. E da un gruppo di musicisti pressoché incapaci di capire e affrontare l’enorme, ben presto isterica ondata di successo che li avrebbe travolti. E che il mondo avrebbe chiamato, con loro sommo fastidio, “grunge”.
Interessanti i filmati di repertorio degli anni ’80, tra cui un meraviglioso e perturbante spot reaganiano che invita gli americani a sorridere, lavorare e credere nel proprio futuro e nella bontà assoluta del sistema capitalista. Molte le interviste: Krist Novoselic che non è più il gigante magro e allampanato, ma un omone solido ancora capace di illuminarsi al pensiero dei primi dischi degli Husker Du. E poi Dave Grohl, Frank Black, Kim Deal, Henry Rollins, Michael Stipe.
Butch Vig e Scott Litt che raccontano aneddoti su “Nevermind” e su “The one I love” o “Losing my religion”. Kim Deal il suo basso tenacemente understatement. Le immagini nebbiose di Abardeen, la “Twin Peaks senza misteri” di Kurt Cobain. L’afa estiva di Athens, Georgia, e la ricerca di sollievo nel “Nightswimming” dei R.e.m.
Murphy cede un po’ troppo alla centralità della figura di Kurt Cobain. Questo è senza dubbio inevitabile, ma rischia talvolta di scivolare nella prevedibilità a cui dal 1994 ci hanno abituato documentari, film, articoli di giornale che speculano sulla storia del ragazzo triste di Abardeen e sulla facile presa emotiva che ancora oggi suscita su migliaia di persone.
Anche ai R.e.m. viene dato tanto spazio a scapito di altri gruppi più marginali ma di uguale, se non maggiore importanza, come gli stessi Pixies.
Agli altri gruppi che all’ inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso diedero o provarono a dare al rock la sua sesta vita, non è riconosciuto abbastanza merito. Pearl Jam e Smashing Pumpkins vengono citati più volte. Alice in Chains, Soundgarden e i pionieri Mudhoney solo accennati. Inspiegabilmente ignorati Screaming Trees, insieme ad Afghan Whigs e molti altri. Infine una nota di demerito sta nel non aver preso in minima considerazione il lato femminile del cosiddetto grunge e del movimento alternativo in generale. Babes in Toyland, L7, Seven Year Bitch, i Gits di Mia Zapata, le stesse Hole di Courtney Love. Tutte hanno profondamente influenzato non solo l’approccio musicale delle donne nel rock, lo stile e il modo di porsi; persino la moda vera e propria degli ultimi due decenni.
Ma nonostante queste piccole e comprensibili imperfezioni, dovute probabilmente alla necessità di sintetizzare una mole immensa di spunti e riferimenti, quattordici anni di musica, in un tempo molto limitato, “Left of the Dial” vale la pena di essere visto dalla prima all’ultima immagine. Vale la pena di risintonizzare la manopola della vecchia radio a sinistra e di ascoltare quella che, almeno fin’ora, è forse l’ultima vera vita che l’America ha saputo dare al rock.

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