RomaFictionFest – Sui Generi(s): "Nassiryia" e "L'ultimo Padrino"

Michele Soavi versus Marco Risi. Sorge il dubbio che nei lavori per la tv di questi cineasti sia molto più facile riconoscere stilemi, coordinate stilistiche, ossessioni formali, topoi registici. Totalmente al di là dell’urgenza dell’istant movie, rielaborando il fatto di cronaca in virtù di una narrazione scandita dai codici del genere.

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Vedi venire alla luce tutta una serie di facce, di volti stilizzati ne L’ultimo Padrino, fiction dedicata da Marco Risi alle vicende relative alla cattura del Boss dei Boss Bernardo Provenzano – Placido che si diverte da morire, Pecci capitano coi rayban e i baffi che vuole fare Volonté, Frassica pentito impagabile, Gaetano Amato superbo, e Francesco Benigno quasi una firma – e ti pare all’improvviso di trovarti di fronte ad una tavola di un qualche fumetto di Magnus. Uno di quelli del periodo dei ‘neri’ anni Settanta – una pagina di Kriminal, una vignetta da Lo Sconosciuto. E invece, è solo che lo stile di regia imposto dalla destinazione televisiva fa si che i primi piani e i dettagli ristretti dedicati ai personaggi acuiscano la naturale tendenza dello stile del formidabile Marco Risi alla deformazione, all’esagerazione grottesca dei caratteri, da Mery per sempre a Maradona via L’ultimo capodanno, o Tre mogli. Poi vedi il finale di Nassiryia – Per non dimenticare,  nuovo lavoro di un percorso televisivo intrapreso da Michele Soavi (e che ci ha regalato almeno tre capolavori: Uno Bianca, L’ultima pallottola, Attacco allo Stato) spesso, come in questo caso, in compagnia di Raoul Bova davanti alla mdp, e ti colpisce la sensazione che quell’esplosione reiterata, in un film in cui Soavi rinuncia del tutto all’estetizzazione delle scene di scontri a fuoco o inseguimenti, quell’esplosione dia proprio il senso del cinema di quello che è probabilmente uno dei più grandi registi italiani in attività: un ralenti meraviglioso sugli oggetti della quotidianità del contingente italiano falciato a Nassiryia, oggetti cari e dal forte valore affettivo (fotografie di familiari, elmetti, piastrine, il latte che esplode dal frigo) che volano dappertutto nello spazio dell’inquadratura, mentre lo sfondo prende fuoco con l’esplosione – e gli oggetti sembrano seguire delle traiettorie ben precise, acquistando una consistenza materica quasi tattile. Una scena terribile che pare bellissima. Allora ti sorge il dubbio che nei lavori per la tv di questi fieri e altissimi fautori di un cinema orgogliosamente di genere, sia esso una commedia con Jerry Calà o un horror prodotto da Dario Argento, con tutte le semplificazioni e le scremature che comporta l’adattarsi al piccolo schermo, insomma che in queste fiction sia molto più facile e leggibile il riconoscere stilemi, coordinate stilistiche, ossessioni formali, topoi registici. Totalmente al di là dell’urgenza da istant movie di entrambe le operazioni – anzi, rielaborando proprio il fatto di cronaca in virtù di una narrazione scandita dagli infallibili codici del genere. Viene in mente l’illuminante, precisissimo ed essenziale episodio conclusivo della seconda serie de Un ciclone in famiglia, dei fratelli Vanzina, o la clamorosa puntata pilota della serie Crimini diretta dai Manetti Bros, forse la cosa migliore mai realizzata dai due videomakers. E non sarà allora un caso che per L’ultimo Padrino Marco Risi pare vada imbastendo una sorta di Provenzano per sempre, tornando a far incontrare Placido con Francesco Benigno, e inserendo nel suo film per la tv un inseguimento auto-moto con soggettiva del guidatore della motocicletta (manubrio del mezzo ben visibile nella parte bassa dell’inquadratura) che pare uscito dritto dritto da Ragazzi fuori, con Palermo al posto di Napoli. E ugualmente non sembra poi così assurda l’atmosfera tesissima perfettamente da horror che segna tutta la visione di Nassiryia di Michele Soavi, sottolineata fino all’irreparabile finale dalla funerea musica di Luigi Seviroli, via via che scorrono gli attentati, le morti di guerra, i rapimenti, lo stress psicofisico dei soldati. Un procedimento sostanzialmente tardofelliniano, quello che porta Michele Soavi e Marco Risi a realizzare prodotti di questo tipo: un’Intervista che pone domande sulla funzione del mezzo televisivo, sull’efficacia di una narrazione d’autore che non si dimentichi mai della sua base popolare, sulla memoria e su come esercitare il potere dell’immagine su materiali dell’immaginario collettivo, e in ultimo anche sul claustrofobico panorama cinematografico nazionale.  E Michele Placido, leggendario in Arrivederci amore, ciao di Soavi, nel ruolo di Provenzano nella sua nuova collaborazione con Marco Risi tiene sul comodino una copia del libro del Capitano Ultimo, di cui Soavi diresse la terza avventura in tv, proprio con Bova.

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