End of Justice: Nessuno è innocente, di Dan Gilroy

Nella parabola che descrive la perdita di purezza dell’avvocato di Denzel Washington (candidato agli #Oscars2018) ritornano quelle riflessioni su una società malata già intraprese ne Lo sciacallo

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Roman J. Israel, mente brillante e avvocato dei diritti civili, con quel titolo onorifico che appare dopo il nome, Esq., di nessuno riconosce ormai più il valore né il significato. Una scheggia del passato, fuori tempo massimo, inopportuno come le sua battute e irriverente come le sue uscite in tribunale, che, abiti sformati, pettinatura afro e occhialoni anni ’70, vive mangiando burro di noccioline a ritmo di soul e funky. Il Roman di Denzel Washington, che per la sua performance agita lo spettro di quel “fool” a cui ha dato vita Robin Williams, è chiuso a doppia mandata nel suo mondo polveroso e tappezzato di manifesti di Angela Davis e Bayard Rustin, in una scollatura dal presente, protetto o forse reso prigioniero, questa è la domanda che, purtroppo, senza grande convinzione, Dan Gilroy lascia a più riprese rimbalzare oltre lo schermo, dallo spazio appartato, senza alcuna visuale sugli scempi morali operati dal presente sulla società americana, nel quale ha scelto di ritirarsi. Fino alla morte di William Jackson, socio principale dello studio legale per cui Roman lavora, che fa collassare improvvisamente le pareti del suo rifugio, lasciando che il presente gli si scagli addosso con tutta la violenza cieca del suo opportunismo.

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roman-j-israel-esqRitornano in Roman J. Israel, Esq. le riflessioni su una società, quella americana, irrimediabilmente malata, arrivista e governata da un unico imperativo morale, la logica del profitto, senza più valori o traguardi da inseguire a fare da collante sociale, già intraprese da Dan Gilroy, bisogna dire, sì con poca originalità, ma con assai maggior lucidità e coerenza, nel suo ben più interessante esordio dietro la macchina da presa, Lo sciacallo – Nightcrawler. E come nel film precedente, sono di nuovo gli scorci senza speranza, filmati da Robert Elswit, di una Los Angeles che nella sua orizzontalità priva di scampo non ha proprio nulla della città dei sogni, a far da scenario spaesato in un film che cerca di trovare, senza grande successo, un equilibrio tra gesto politico, melodramma e satira sociale.

Se ne Lo sciacallo il cupo cinismo e una maggior padronanza del genere in qualche modo riuscivano a bilanciare e, sicuramente, a rendere più accattivante la struttura chiusa del film, in Roman J. Israel, Esq. la programmaticità dell’enunciato ideologico finisce, invece, per far affondare il racconto nella tesi su cui esso si poggia. Non si tratta solo dell’incapacità di maneggiare la parabola della perdita di purezza di Roman, imprimendogli Roman J. Israel Esq.un’inevitabilità tutta studiata a tavolino – come studiato a tavolino sembra anche il protagonista, tagliato su misura per guadagnarsi una nomination agli Oscar – con una serie di scorciatoie, ad esempio l’improvvisa abdicazione alla causa dopo esser stato assoldato dallo studio legale senza scrupoli né cuore guidato da Colin Farrell, che mettono a nudo tutti i problemi di una scrittura che manca di un vera capacità di articolazione. Ma soprattutto, quello di Dan Gilroy è uno sguardo senza alcuna urgenza, che tira in ballo temi pesanti come macigni, la crisi del movimento per i diritti civili, la filiera volta al profitto nascosta dietro la facciata dei sistemi giudiziario e carcerario americani, ma anziché sporcarsi le mani con le contraddizioni di una società allo sbando, si accontenta del rimpianto nostalgico di un supposto passato migliore e, infine, cede miseramente alla strada, assai più semplice, del piatto moralismo.

Titolo originale: Roman J Israel, Esq.
Regia: Dan Gilroy
Interpreti: Denzel Washington, Colin Farrell, Shelley Hennig, Carmen Ejogo, Nazneen Contractor, Tony Plana, Niles Fitch
Origine: USA, 2017
Distribuzione: Warner
Durata: 122′

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