Ron – Un amico fuori programma, di Sarah Smith e Jean-Philippe Vine

Racconta l’amicizia tra un bambino e un robot per ribadire la centralità dei rapporti umani nei processi di socializzazione virtuale. Non è in grado però di assumere alcuna posizione critica. Disney+

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In Ron – Un amico fuori programma tutto tende alla ri-mediazione delle relazioni (e delle connessioni) umane verso gli orizzonti dell’analogico. In un mondo dominato dalle interazioni digitali, dove i bambini/adolescenti filtrano le proprie esperienze attraverso intelligenze artificiali sempre più avanzate, la deriva analogica non è stata solo dimenticata, ma relegata ai margini delle attività di socializzazione. E attraverso la storia di un’amicizia “anacronistica”, quella tra il giovane Barney e il suo (malfunzionante) b-bot Ron – robot creato per facilitare le interazioni social tra bambini, ma con difetti di produzione che ne limitano lo scopo, rendendolo più “umano” – il film d’animazione (ri)afferma (almeno in parte) la necessità di contaminare la freddezza emotiva del virtuale con il calore dei legami analogici. Tutto sullo sfondo di uno scenario mediale iper-digitalizzato, la cui immersività avviluppante nega al protagonista la possibilità di superare la propria introversione, e di tessere legami reali con compagni sempre più inclini all’omologazione interattiva.

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Per Barney, allora, Ron è qualcosa di più di un mero strumento di socializzazione. Quei difetti di fabbricazione che lo portano ad essere “desueto” – non può connettersi ad internet, né consentire al ragazzo di interagire in rete con i propri coetanei – diventano il mezzo stesso per la materializzazione di legami profondi. Non solo conducono Barney a rompere con le mediazioni digitali in favore dei rapporti analogico/fisici, ma aprono la strada ad una comunicazione più sincera (e immediata) con l’altro. Perché nonostante le differenze biologiche, in Ron – Un amico fuori programma i due protagonisti condividono la stessa condizione alienata. Il bambino non ha amici, perché non può permettersi un b-bot funzionante, mentre Ron è un “rottame” per mezzo di un errore di programmazione. È solo attraverso la rottura (parziale) delle mediazioni informatiche, e il conseguente recupero delle interazioni face-to-face, che la reciprocità di influenze può assumere finalmente rilievo. Una critica all’assuefazione tecnologica dei più piccoli, che per quanto presente, viene qui solamente accennata, senza mai diventare reale oggetto di indagine. E a frenare le aspirazioni del racconto, è proprio l’assenza di una presa di posizione che ne delinei tanto le intenzioni, quanto il messaggio di fondo. Se nel corso della narrazione la parziale de-digitalizzazione dei dispositivi consente ai bambini di (ri)scoprire progressivamente il piacere delle relazioni umane, il film mantiene per tutto il tempo un’istanza ambigua, mai uniforme, a metà tra la critica alla tecnologia e la celebrazione dei suoi aspetti più liberatori.

E malgrado la posizione ambivalente nei confronti dell’assuefazione infantile al digitale, il film non vuole certamente essere Black Mirror. Seppur lontano dalle ibridazioni tecnologiche (e dalle vette estetiche) di Wall-E e Big Hero 6, Ron – Un amico fuori programma esalta la comunicazione iper-mediale a mezzo, strumento e veicolo per un’interazione più naturale e positiva. In una cornice che infrange le barriere sociali, in vista di connessioni umane sempre più centrate sulla reciprocità – e non sull’unilateralità – delle influenze.

Titolo originale: Ron’s Gone Wrong
Regia: Sarah Smith e Jean-Philippe Vine
Voci: Zach Galifianakis, Jack Dylan Grazer, Ed Helms, Olivia Colman, Justice Smith, Rob Delaney, Kylie Cantrall, Ricardo Hurtado, Marcus Scribner
Distribuzione: The Walt Disney Company
Durata: 106′
Origine: USA, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
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