ROTTERDAM 38 – "Breathless" di Yang Ik-June
L’esordio alla regia dell’attore coreano Yang Ik-June colpisce per come risolve tensioni emotive che non cessano di bruciare in un trasparente equilibrio pittorico – un po’ alla Pialat, per certi versi. Dannazione e redenzione della paternità come malattia non sessualmente trasmessa
Già attore abbastanza affermato del cinema coreano, Yang Ik-June con Breathless esordisce alla grande nella regia. È lui stesso ad interpretare Seong-Hoon, bulletto impiegato in una società di strozzini, tanto violento e privo di scrupoli coi creditori quanto fragile di carattere per via di un disastroso rapporto col disastroso padre, dato anche dalla prematura morte della madre. Ha un nipote che bonariamente maltratta, come per goffo ripiego dell’infanzia perduta. Un giorno sputa per caso su una ragazzina liceale (anche lei senza madre, e con una famiglia pietosa, a cominciare dal padre paranoico e reduce di guerra), e tra un pestaggio ai creditori e un altro i due dopo l’odio iniziale finiranno per innamorarsi. Che Seong-Hoon cominci a rabbonirsi, lo si sarà capito, è inevitabile, ma le cose prenderanno una piega tragica. Forse anche questa piega, in fondo, è prevedibile; a non esserlo affatto, però, è il modo in cui Yang riesce a stigmatizzare questa tragicità – che pure sulla carta sarebbe stata più che abbondante e buona per un turgido Kammerspiel di implacabile claustrofobia. E invece. E invece l’immancabile “spiegone” in flashback sul perché-la-madre e perché-il-padre viene trangugiato e dimenticato in due secondi. E invece Yang prende questa storia di continua, indefessa aggressività tra i sessi che striscia in ogni dialogo e in ogni sguardo, e ne rallenta le particelle fino a congelarla in una tersa, quieta, serena atmosfera in cui, incredibilmente, ogni tensione sembra subito risolta in una superiore pacificazione pur senza smettere di bruciare. E ci riesce con mezzi squisitamente pittorici: in un modo che non può non ricordare alcune cose di Maurice Pialat (L’amante giovane soprattutto), sa fare il vuoto intorno al personaggio e sa isolarlo nell’inquadratura, in modo che davvero ogni velleità spaccona dei personaggi (e tutti nel film non fanno altro che destreggiarsi tra una schermaglia e l’altra) si volatilizzi letteralmente nel vuoto. Al punto che l’effetto in un qualche modo diventa anche glacialmente ironico – come del resto, appunto, già in Pialat. Ben prima dello struggente finale sospeso tra una riconciliazione sperata e realizzata e la terribile constatazione che le stesse vecchie violenze e le stesse vecchie ostilità sono destinate a propagarsi esattamente come prima, Yang neutralizza l’incorreggibile “adrenalina” dei personaggi senza cedere di un millimetro sull’empatia, sempre fortissima, verso di loro. Il susseguirsi infinito di pestaggi, litigi, scaramucce più o meno implicitamente affettuose tra parenti, fidanzati, fratelli, colleghi, serve in definitiva a propagare dappertutto (anche fuori dalla famiglia) ad anelli concentrici il vecchio schema di un figlio maltrattato che maltratta il proprio “figlio” putativo e viceversa. La paternità come malattia non sessualmente trasmessa; quindi, anche una perfetta e leggerissima metafora sul maschilismo imperante (così ci dicono) della società coreana (fino a tirar fuori en passant nei dialoghi il “padre rimosso” per eccellenza: Kim Il-Sung). E Seong-Hoon si cala anima e corpo, sotto lo sguardo benevolo della donna segnata da identiche ferite familiari (bambina eppure già per tutti quelli che le stanno intorno “madre putativa”), in questo “virus” maligno che è la paternità, fino a farne un cammino di vera e propria espiazione: di questo virus se ne libererà, tragicamente, solo morendo per mano del proprio figlio putativo. Ma anche la morte è solo un preludio di una pur difficile e parziale riconciliazione finale – dopo che in ogni inquadratura Yang Ik-June è riuscito per tutto il film a far baluginare, per sola (e grande) virtù di messa in scena e di intuito figurativo, la conciliazione di quella frattura che sembrava pervadere irrimediabile ogni istante di interazione tra i personaggi.