ROTTERDAM 41 – “Buenas noches Espana”, di Raya Martin (Spectrum)


Questo Buenas noches Espana ha indispettito molti, per il suo sperimentalismo indubbiamente elementare e di grana grossa. Ma non bisogna fermarsi qui: il film va oltre, e approda a una convincente parabola sulla mimesis e sulla sua “sovversiva” altra faccia – con tutte le conseguenze del caso riguardo all'immancabile ossessione del regista filippino: il colonialismo, in senso lato

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Questo Buenas noches Espana ha indispettito molti, fin dalla sua prima presentazione al festival di Locarno l'estate scorsa. Non è andato giù, soprattutto, lo sperimentalismo un po' facile, l'incessante tappeto sonoro noise su un trionfo di violenti viraggi in blu, rosso, verde, giallo eccetera, le finte graffiature della (finta) pellicola, e quant'altro. Se ci si ferma qui, però, si manca il punto. Non bisogna, insomma, fermarsi a quello che si vede per la maggior parte del film: una coppia che gironzola per le strade e le alture spagnole, per poi scorrazzare disordinatamente nel museo di arte contemporanea di Bilbao. Non succede nulla: solo questa deriva che concede a Martin lo spazio che gli serve per il suo spensierato sperimentalismo a ruota libera, fatto di molteplici ripetizioni delle stesse scene, finti errori di stampa, giochetti ottici di lens flare e analoghe “aggressioni” all'immagine.

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Non bisogna fermarsi qui, perché verso la fine del film, i due protagonisti interrompono il loro vagare stancamente irriverente (fanno il verso ai quadri che vedono nelle sale, corrono per i corridoi del museo eccetera eccetera) e si fermano incantati davanti a un quadro tranquillamente figurativo che letteralmente li immobilizza e li rapisce, con la bocca aperta e le lacrime agli occhi. E poco dopo vengono catapultati in un lunare paesaggio marino e petroso, assolutamente deserto. Ed è qui che ci si ricorda del suo grandioso Independencia (2009): non c'è sperimentalismo che tenga, il massimo della libertà consiste in quel vuoto che sta, per così dire, “a lato” della tradizionalissima mimesis, il vento rumoroso che scorre nelle fessure della normalissima imitazione. La libertà è in quel vuoto, che non conosce confini perché è “l'altro lato” del confine, l'altra sua dimensione: ecco perché Buenas noches Espana dice di avere origine da una leggenda secondo cui, alla fine del sedicesimo secolo, un soldato filippino si è trovato improvvisamente catapultato in Messico (altra colonia spagnola).

È quel vuoto, è quel rumore che cerca Raya Martin graffiando, ricolorando, riproiettando più volte la pellicola (peraltro solo presunta, visto che il film è girato in digitale) – non è per velleità artistoidi (come pure gli è stato, frettolosamente, rimproverato). Per lui, l'Universale (quello davanti a cui non c'è potere colonialista che tenga) è il supporto materiale, l'altra faccia (“grezza”) del senso, che, pur da lui inseparabile, gli resiste.

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