#Russia2018 – L’assenza dell’Italia – ovvero La presenza del Fuoricampo
Il Mondiale senza l’Italia è un mondiale che esce dalla classicità, ed entra in un nuovo “spaziotempo”.
Questo articolo si fonda su di un assunto:
se il cinema senza il cinema è il cinema che è uscito dalle sale, cioè dal rito classico, ed è il cinema entrato nella vita di tutti i giorni, cioè nei telefoni, nell’immaginario, nel subconscio come modo di pensare, allora il Mondiale senza l’Italia è un mondiale che esce dalla classicità, ed entra in un nuovo “spaziotempo”, in cui i riti classici vengono aboliti, e si proietta verso il futuro, magari usando il VAR.
Si può obiettare che il calcio va avanti nonostante la nostra presenza (cosa che potrebbe far storcere il naso a moltissimi, e non solo in Italia) ma tenendo valido tale assunto si può dire che l’Italia non c’è perché ancorata al passato. Come al solito si ripropone il paradosso per cui siamo territorio di sperimentazione (già Eco lo diceva) ma non siamo all’avanguardia come sistema (questo pare pacifico, senza scomodare Eco).
Tutto ne consegue:
come il cinema è presente e vivo senza dover stare dentro il cinema, così il mondiale è presente è vivo senza dover aspettare l’Italia. Ma allora il Mondiale senza l’Italia diventa il fuoricampo calcistico più importante degli ultimi 60 anni (almeno per noi). Avevamo mancato anche varie edizioni dell’Europeo, ma nulla in Italia è sentito più del Mondiale.
Infatti vedere i Russi vedere la partita (e vedere ciò grazie ad un player di repubblica.it quindi neanche dal vero) è la nostra condizione attuale. Vedere altri che vedono, che gioiscono o piangono per cose che non vediamo e non sappiamo. Cose che se vediamo e sappiamo restano sempre distanti, sono sempre di altri. Si vede senza vedere.
In questo momento (15/06/2018 ore 14.17) sto casualmente vedendo la partita Egitto-Uruguay del girone A. Mi trovo in una birreria per mangiare un panino a pranzo e la partita viene trasmessa da Yekaterinburg, in Russia. La vedo anche con interesse, data la presenza di Salah e Cavani, due giocatori che ho sempre ammirato moltissimo, ma sicuramente la vedo senza la partecipazione degli egiziani di fianco a me. Loro col cuore stanno in Russia, io no. L’assenza di partecipazione che risento forse deriva dall’assenza di partecipazione dell’Italia. Ma comunque sia questo mi fa pensare ancora di più al fuoricampo di cui scrivo sopra.
Un fuoricampo semplice, che nasce dal guardare altri che guardano, che guardano con più interesse di me questo spettacolo lontano che viene trasmesso su uno schermo. Così i miei occhi diventano più interessati alle emozioni che passano dai loro occhi. Forse il nodo è proprio questo enorme fuoricampo, non voluto, non cercato, capitato, senza che noi potessimo fare nulla, testimoni passivi della disgregazione della nostra federcalcio, che non ha potuto evitare l’eliminazione. Quindi impotenti ci troviamo a guardare altri che guardano.
Non sappiamo se tifare Salah o Cavani, se lo sapessimo dovremmo avere qualche interesse personale (la fidanzata egiziana, o un ricordo piacevole in Uruguay, o una scommessa) ma se niente caratterizza la nostra visione allora il nostro sguardo rimane purtroppo distaccato. Purtroppo o per fortuna, perché possiamo guardare lo spettacolo in modo più critico, come fanno gli intenditori di calcio che si appassionano a come una delle due squadre imposta la partita e riesce a concretizzare il proprio piano. Ma senza la passione che ci porta a non guardare gli evidenti limiti della propria squadra (quale che sia), non vedere i propri limiti e credere lo stesso di poter vincere. Tutto sta nel vedere e non vedere, non vedere la partita ma vedere chi la vede.
Mi viene da dire che il paese Italia come al solito sta inconsapevolmente nel futuro. I ragazzi di questo 2018 forse saranno i primi non toccati dalla religiosa apparizione del mondiale. La chiesa catodica non riuscirà ad attecchire nella loro mente. La loro visione sarà filtrata dall’assenza di partecipazione, e poi dalla frammentazione mediatica. Il fuoricampo regnerà nella loro mente. Come il “dentrocampo” regna nella mia per colpa di quel maledetto 1986 dove Diego si manifestò come un’icona, seminando il panico nelle difese avversarie. Ma allora non sono quelle di oggi delle ripetizioni di un’icona?
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