#Russia2018 – La capriola
Iran-Spagna=0-1. Ma qui non si tratta più di discutere di colpi magistrali, perfette esecuzioni da spartito, da manuale del calcio moderno, bensì si tratta di attraversare e scardinare la quarta parete
“Il goal più bello è stato un passaggio”, secondo Eric Cantona, nel 1995 autore anche dello storico colpo di kung fu, ben assestato ad un tifoso del Crystal Palace a bordo campo. Il buon calcio è in effetti quello in cui la squadra funziona come un collettivo solidale, nel quale ognuno si diverte a giocare in funzione degli altri e per gli altri. In concreto, questo significa che in una partita il giocatore che riceve palla non deve mai ritrovarsi abbandonato a se stesso. Al contrario, deve sempre vedere intorno a sé l’evolversi delle azioni possibili, il disegno di un campo di passaggi virtuali. Campo di passaggi virtuali (o di soluzioni…) che deve creare di continuo il movimento collettivo dei compagni. Naturalmente , dato che ogni movimento del giocatore che avanza con la palla modifica immediatamente l’equilibrio generale della squadra e la sua disposizione sul terreno di gioco, è indispensabile che nello stesso momento tutti i membri del collettivo adeguino costantemente la propria posizione a quelle continue modifiche. Ciascuno ha dunque il compito permanente di seguire l’azione cercando in ogni momento di occupare gli spazi liberati dal movimento degli avversari e di proporre il maggiore numero di soluzioni possibili al compagno in possesso di palla, restando comunque pronto ad anticipare l’eventuale perdita di palla o i movimenti simmetrici dell’altra squadra.
In questa concezione filosofica del calcio certamente rientra la Spagna. Iran-Spagna=0-1. Ma qui non si tratta più di discutere di colpi magistrali, perfette esecuzioni da spartito, da manuale del calcio moderno, bensì si tratta di attraversare e scardinare la quarta parete, quella che separa gli interpreti e il nostro sguardo. Ecco quindi che “il goal più bello è stata una rimessa laterale… censurata”, quella che il calciatore iraniano, a pochi secondi dalla conclusione della gara contro le furie rosse, ha cercato di eseguire, per l’ultimo e disperato arrembaggio dentro l’area di rigore avversaria. L’arbitro ha negato il colpo di teatro, proprio sul più bello, quando la capriola avrebbe permesso una gittata più lunga con le mani, quel gesto con le mani censurato. Il calciatore iraniano avrebbe compiuto un vero e proprio gesto no global, un gesto vietato dalle regole riconosciute, perché i piedi devono restare piantati a terra, non è concesso alcun volo pindarico. La stessa “bicicletta” di Neymar contro il Costa Rica, a confronto, è semplicemente un gesto artistico compiuto da un giocoliere, poco artista. La genialità sta nel gesto delle mani nel calcio, attraverso una fenomenale capovolta, già vista sui campi di calcio, ma oggi bandita.
Torna in mente, dopo quel gesto interrotto, Il vento ci porterà via di Abbas Kiarostami: il vento ci porterà via, soprattutto nella bella stagione, soprattutto ci porterà “emergenza”. Il fotografo, regista, “ingegnere”, protagonista della storia, a 700 chilometri da Teheran, raggiunge un piccolo villaggio del Kurdistan, per fare cosa? Fuori campo, silenzi, ellissi, alla ricerca di un tesoro o dell’essenza della vita. In fondo, si incarna lo spirito vacanziero di sempre: nostro tempo feroce e fatuo ci ha imposto una scoperta terribile e stupenda, la solitudine. Oggi non occorre essere eremiti, c’è solitudine per tutti. Difficile è la solitudine ma affascinante il colloquio segreto, l’ininterrotto dialogo di un sé con un sé più oscuro e misterioso, ascoltare la voce dei diversi “io” che diversamente si parlano. La nostra vita oggi è affidata a questo lento esercizio.
Non è necessario essere un grande comico per ritrovarsi in una situazione comica. Ecco apparire anche Jacques Tati, che avrebbe sperato di realizzare un film senza Hulot, solo con persone che vedeva, che osservava, che incontrava per strada (o qualche metro dietro la riga della rimessa laterale, davanti a migliaia di spettatori increduli) e dimostrare che, nonostante tutto, nella settimana o nel mese (mondiale) può sempre capitare loro qualcosa, e che l’effetto comico appartiene a tutti.