SALENTO FEAR FEST 2007 – L'orrore del reale

I film maggiormente interessanti visti finora al Salento Fear Festival si discostano, inaspettatamente, dal genere horror puro. E’ invece un orrore intimista e in certi aspetti politico, insidiato nel reale quotidiano e forse per questo ancora più angosciante e disperato: "The linving and the dead" e "The forbidden chapter"

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I film maggiormente interessanti visti finora al Salento Fear Festival si discostano, inaspettatamente, dal genere horror puro: niente vistosi spargimenti di sangue, niente delitti efferati, niente creature mostruose pronte a terrorizzare lo sguardo. E’ invece un orrore intimista e in certi aspetti politico, insidiato nel reale quotidiano e forse per questo ancora più angosciante e disperato. Due lungometraggi diversi tra loro ma accomunati da un senso di impotenza ed ineluttabilità che lasciano sgomenti e con un disturbante senso di smarrimento al termine della visione. The living and the dead dell’inglese Simon Rumley, racconta l’orrore della malattia mentale in tutta la sua crudezza: una famiglia borghese, ricca e con le carte in regola per vivere una vita piena e felice, si porta invece il fardello di un figlio gravemente malato di mente che durante un attacco di follia particolarmente violento arriverà ad uccidere la propria madre. Quelle di Rumley sono immagini di impotenza e smarrimento, dove la mdp segue incessantemente i movimenti del giovane malato, corpo disarmonico incapace di trovare un attimo di quiete e stabilità. Il delirio mentale viene reso "tangibile" allo sguardo attraverso una concatenazione di sequenze dal ritmo volutamente incontrollato e spasmodico, una giostra resa tragica dalle reazioni dei genitori del ragazzo, indifesi di fronte alla malattia, ma ugualmente pieni di un amore commovente per quel figlio sfortunato. Attraverso gli sguardi spaventati, stupefatti e privi di consolazione, emerge un cinema di dolore – ma attenzione, mai ricattatorio – che non schiude però le porte ad una catartica salvezza (alla fine il figlio in preda ad un nuovo delirio, si suiciderà ed il padre, rimasto solo, impazzirà) ma cancella ogni residuo di speranza comunicando un senso di profonda e disperata solitudine dei protagonisti. The forbidden chapter dell’ iraniano Fariborz Kamkari è un viaggio allucinato nell’Iran contemporaneo, dove a Mashad, uno squilibrato, uccide una dopo l’altra le prostitute della città. Un poliziotto cercherà di far luce sul caso. Il film è stato premiato ai festival di Stoccolma, San Sebastian e Bruxelles ed è un chiaro atto d’accusa verso una società violenta e repressiva, dove le istituzioni sono corrotte e la religione diviene mero strumento di potere e di inganno, che fa della manipolazione di giovani menti la sua arma più efficace. Il regista iraniano gira un film estremamente cupo, amplificato da una fotografia sporca dai colori scuri e mortiferi e da una messa in scena spoglia di qualsiasi effetto visivo ridondante. Ed allora ecco inquadrati i campi dei rifugiati, gente senza patria costretta a vivere nella miseria più avvilente e in una sorta di cattività, rinchiusa in confini ben delimitati ed impossibilitata a vivere una libera esistenza; ecco la scuola di religione dove si insegna il martirio ed il fanatismo, l’obbedienza più assoluta e la menzogna più raffinata; ecco i vicoli bui, le strade povere bagnate da una pioggia battente, frequentate da donne che si offrono ai passanti per poter far sopravvivere i propri figli.

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La geometria degli spazi è dunque circoscritta a questi luoghi, origine di sofferenza e di terrore (dalla scuola coranica talebana usciranno i più spietati terroristi). Kamkari possiede un certo coraggio a (s)coprire i volti – e i cuori – delle donne iraniane, a svelare gli intrighi della politica, potere temporale che si ramifica all’interno del potere spirituale e a permeare tutto il film di un pessimismo profondo in cui l’amore (il capitolo proibito) unica fonte primaria di vita non trova sbocchi ma rimane soffocato in un’idea, un desiderio incapace di uscire dalle maglie dell’ignoranza e della violenza, scivolando inesorabilmente nella morte del corpo e ancora più tragicamente, nell’annientamento della volontà.

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