SALONICCO FILM FESTIVAL – Il festival e la frontiera (1)

Giunto alla 46° edizione, il festival di Salonicco si conferma come un festival ricco di proposte articolate e non scontate; retrospettive di Hou Hsiao-hsien, Patrice Chéreau, Vittorio Storaro, Michael Winterbottom e omaggi alle cinematografie messicana, irlandese e danese. In concorso, tra i film greci, spicca "Kinetta".

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Giunto alla 46° edizione, il festival di Salonicco, atteso quest'anno alla prova del cambio di direzione, affidata a Despina Mouzaki, si conferma come un manifestazione ricca di proposte articolate e non scontate; soprattutto, nella splendida cornice del porto della città (dove si trovano i docks che ospitano le sale e le varie strutture del festival), si susseguono le visioni sia delle retrospettive e degli omaggi  (quest'anno retrospettive sul cinema di Hou Hsiao-hsien, Patrice Chéreau, Vittorio Storaro, Michael Winterbottom e omaggi alle cinematografie messicana, irlandese e danese), sia delle varie sezioni di un festival sempre particolarmente attento alla produzione greca, balcanica e delle repubbliche dell'est europa. Salonicco è infatti un'occasione per affrontare in una prospettiva organica una cinematografia frammentata e multiforme come le realtà nazionali dei territori da cui originano: proprio per questo il festival è una delle vetrine più interessanti su una cinematografia pulsante e vitale anche se scarsamente visibile all'estero.

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Tra i film greci presentati nelle varie sezioni, spicca un titolo come Kinetta, esordio al lungometraggio di Yorgos Lanthimos, film sospeso tra varie narrazioni all'interno di un set svuotato, una città fantasma il cui tempo morto si ripercuote nella dilatazione spaziale e temporale dell'inquadratura. Un'inquietudine sottile attraversa tutto il film, composto spesso di conflitti improvvisi tra i corpi e lo spazio. Inquietudine che si ritrova nel narrativamente più convenzionale 2 girls di Kuglug Ataman, storia al femminile, di emarginazioni e attrazioni, attraversato però da un'energia sottile e continua, grazie alla quale i corpi delle due ragazze protagoniste del film diventano la rappresentazione, il set stesso di una perdita di certezza e di sicurezza che ne attraversa i personaggi. Al di là dell'impronta autoriale è anche un cinema povero e orgogliosamente di genere a tenere banco al festival. In To Kako (The Evil), di Yorgos Noussias, il riferimento (il vero e proprio trasferimento) al cinema di Romero all'interno di una Atene surreale e ipermoderna, attraversata da un virus che trasforma gli uomini in zombi assetati di carne umana, produce una sorta di corto circuito che annulla il genere o, meglio lo fa diventare il tutto del film, senza possibilità che i suoi meccanismi siano altro che pura astrazione. Ancora il genere come forma imitata e trasferita all'interno di altri territori, di altre situazioni, il meccanismo al centro di Hostage di Costantine Giannaris, in cui la struttura narrativa codificata (un uomo disperato che prende in ostaggio un intero autobus) è la riproposizione di un topos che si ripresenta identico a se stesso, con l'unica variazione di luogo e di tempo. È l'inizio dunque di un percorso che si svilupperà nelle successive giornate di un festival di frontiera come Salonicco.  (21 novembre 2005)

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