Salvatore Giuliano, di Francesco Rosi

Rosi porta a compimento un'opera vigorosa che ha il valore del documento e la veemenza del pamphlet politico. Scrupolo storiografico, impegno civile, spettacolo si fondono in un film che rimane un modello insuperato

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C'è chi guarda alla storia, a fatti e personaggi, come a semplici pretesti per dar sfogo al proprio mondo poetico o per esprimere la propria visione di una data realtà (si pensi a Buongiorno, notte di Bellocchio); c'è chi invece vuole raccontare la storia, capirla, interpretarla, darne una chiave di lettura. Salvatore Giuliano (a tutt'oggi uno dei migliori film di Rosi) è qualcosa in più: ritornando su fatti recentissimi, di appena dodici anni prima, è un'opera che incide nella (sua) contemporaneità con la stessa immediatezza e veemenza dell'inchiesta giornalistica e assume la duplice valenza di documento e di pamphlet politico. Rosi, infatti, da un lato sceglie di narrare le vicende del bandito Giuliano e della strage di Portella della Ginestra con scrupolo storiografico e dall'altro compie un atto di denuncia, facendo coraggiosamente luce negli oscuri rapporti tra mafia e politica, nei meandri dei segreti di Stato, sino a diventare uno stimolo per la costituzione delle Commisione d'inchiesta sulla mafia. Finzione e documentario sono mescolati sapientemente, sul racconto cinematografico si innestano materiali fotografici e televisivi in un collage che, dal punto di vista strutturale, ha il suo antecedente più illustre in Quarto potere di Orson Welles (anche se lì tutto si risolveva nell'ambito della finzione).

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Ma ciò che più piace di Salvatore Giuliano è che l'esigenza documentaristica e l'impegno civile non portano a rinnegare le esigenze dello spettacolo o a tacere l'emotività del racconto. Rosi è perfettamente consapevole di avere a che fare con un film e lavora sui fatti con mezzi squisitamente cinematografici: così restituisce tutta la tragedia della strage dei braccianti con un bellissimo campo lungo, rende tutto il mistero del personaggio Giuliano non mostrandone quasi mai il volto, sceglie di esaltare drammaticamente il momento dell'assassinio di Gaspare Pisciotta. Un film bello e coraggioso, un esempio emblematico di come il cinema possa essere uno strumento di intervento diretto sulla realtà. I film di impegno civile diverrano un must del cinema italiano, ma l'opera di Rosi, pur divenendo un modello per numerosi epigoni, per la sua stessa concezione, la modernità nell'utilizzo dei materiali a disposizione, per il suo impatto emotivo, avrà pochissimi eguali: lo stesso regista napoletano proverà a ripetersi, specialmente con Il caso Mattei (1972), ma bisogna guardare soprattutto a certo cinema americano, Tutti gli uomini del presidente in testa. Paolo Benvenuti tornerà in anni più recenti sulle stesse vicende con Segreti di Stato (2003).

 

Regia: Francesco Rosi

Interpreti: Frank Wolff, Salvo Randone, Federico Zardi, Pietro Cammarata, Giuseppe Teti

Distribuzione: Cineteca di Bologna

Origine: Italia 1962

Durata: 120'

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