SAN SEBASTIAN 54 – "Copying Beethoven": le immagini e la potenza della musica. Incontro con Agnieszka Holland

La regista polacca parla del film che ha portato in Concorso al festival basco conclusosi ieri, uno dei migliori della competizione. Un viaggio nella creazione artistica e nella spiritualità del grande compositore tedesco, interpretato da Ed Harris. Al suo fianco Diane Kruger

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SAN SEBASTIAN – "Il cinema del sentire" – prendendo in prestito il titolo del saggio che Daniele Dottorini ha scritto su David Lynch – è un'espressione che sembra poter riassumere Copying Beethoven, l'opera che Agnieszka Holland ha portato in Concorso a San Sebastian 54. Diane Kruger, che interpreta l'unico personaggio fittizio del film, Anna Holtz, è l'orecchio-tramite attraverso il quale la regista fa entrare lo spettatore nella Vienna del 1824, per assistere alle ultime fasi della vita di Ludwig van Beethoven, interpretato da un grandissimo Ed Harris. Anna Holtz, icona che incarna, nel mondo del possibile costituito dal cinema, quel desiderio di conforto femminile mai realizzato da Beethoven, è non solo una giovane e promettente aspirante compositrice, che irrompe nella fase più disperata della vita del grande compositore per trascrivere la sua musica, ma anche il mezzo attraverso il quale viene resa possibile la riflessione del rapporto tra un uomo e la sua musica. Il sentire, l'elemento centrale di Copying Beethoven, è dato fisico, inteso come negazione e privazione che costringe Beethoven nel silenzio. Sentire è la prerogativa dell'artista, attraverso il quale l'eterno rende udibile la sua voce, ma sentire è anche passione carnale dove i corpi non si appagano nel contatto, ma si compenetrano attraverso la musica. Sentire è ancora il fluttuare della macchina da presa, che da mezzo visivo diventa strumento che passa dall'orecchio per rivolgersi all'occhio, sentire è con e attraverso la musica che esplode e riempie tutta la pellicola.


Agnieszka Holland mette in scena la difficile lotta di chi, al limite della disperazione, vive immaginando quel che non è più in grado di udire, con toni intimi ed allo stesso tempo grandiosi, facendo scivolare lo sguardo attraverso una rete intricata di volti e dettagli accarezzati, cercati, svelati e di nuovo nascosti dalla macchina da presa. La quale – strumento attraverso cui far vibrare la musica – si muove per contrasti, cercando di rispettare il principio del contrasto dei temi musicali sul quale Beethoven ha costruito la sua opera. Copying Beethoven si sviluppa intorno alla bellissima scena centrale, che la Holland lascia vivere sullo schermo per 14 minuti, in cui Beethoven, presentando al mondo il suo ultimo e più grande capolavoro, la nona sinfonia tanto cara anche a Kubrick, dirige per l'ultima volta un'orchestra. Come l'Inno alla Gioia (che chiude la nona sinfonia ed in cui il concetto di gioia nasce dalla possibilità del superamento del male), la parte finale della scena del concerto proietta Beethoven verso il superamento dell'imperfezione e della debolezza dell'essere umano, quando, dopo aver fatto sprofondare insieme a lui lo spettatore nel silenzio che lo tiene prigioniero, volge lo sguardo al suo pubblico e "sente" di essersi proiettato oltre la vita. La Holland sceglie di far coincidere la parte centrale della sua pellicola con il culmine drammatico ed emotivo, cercando, attraverso l'esperienza sia fisica che spirituale della musica, di far avvicinare il più possibile lo spettatore alla figura di Beethoven, per poi proiettarlo nel difficile compito di rapportarsi con la parte più oscura del suo lavoro, i Quartetti per archi, ultima espressione di un genio che, nella parte finale della pellicola, viene ritratto nella coscienza di aver ormai compiuto la sua opera e che dunque è libero di abbandonarsi alla sua morte.


Abbiamo chiesto ad Agnieszka Holland come è nata la scena del concerto.


"Quando ho letto la sceneggiatura ho capito subito che, sebbene non fosse descritta così precisamente, quella era una scena in cui avrei potuto esprimere qualcosa sul senso della musica attraverso il cinema in un modo che non era mai stato sperimentato. Ho voluto girarla come se volessi dare al pubblico l'impressione di ascoltare quella musica per la prima volta e nello stesso tempo come se fosse una scena d'amore e di sesso, dove sesso e amore vengono sperimentati solamente attraverso la musica".


È bellissimo il momento di silenzio che segue il concerto.


Subito dopo quel concerto Beethoven rimase veramente con le spalle rivolte al pubblico senza accorgersi degli applausi scroscianti. Fu una ragazza ad alzarsi dal pubblico per far girare Beethoven e per mostrargli l'entusiasmo della sala. Inserire questo episodio realmente accaduto è stato un modo per mostrare la solitudine di Beethoven: dopo aver creato una relazione così intima, era l'unica occasione per far veramente provare allo spettatore l'esperienza della sua sordità, una sensazione così difficile da rendere in un film.



Sembra quasi che la macchina da presa fosse utilizzata come uno strumento musicale…


È esattamente quello che ho cercato di fare: cercare di rappresentare attraverso le immagini la potenza della sua musica. Non ho voluto solo descriverla, ho cercato di esprimerla attraverso l'uso della macchina da presa. Questa è stata la grande sfida con la quale mi sono rapportata, e vedere che il pubblico, anche quello che normalmente non ascolta questo genere di musica, reagisce in maniera molto emotiva, ha costituito una grande vittoria per me.



Nella realtà Beethoven fu aiutato da due studenti, due uomini. Come mai è stato deciso di sostituirli con il personaggio di Anna Holtz?


Sappiamo molte cose sull'ultima parte della vita di Beethoven, sul suo rapporto con la musica, sul suo aspetto, sulle sue debolezze e sulle sue malattie, ma avevamo bisogno di qualcuno che ci portasse all'interno dell'anima di questo musicista e che, con un misto di rispetto e critica, ci conducesse in un viaggio per conoscere a fondo la personalità di Beethoven. Il protagonista del film è la musica, Anna è solo il mezzo per poter raccontare una storia d'amore tra un uomo e la sua musica.



Come colloca questo film all'interno della sua opera?


È un film diverso dai miei precedenti, perché non ho mai fatto un film dove è l'arte ad essere l'elemento centrale. In Poeti dall'Inferno a far da protagonista non era la poesia, ma il rapporto tra due uomini. Il fatto di avere speso un anno della mia vita ascoltando la musica di Beethoven è stata un'esperienza completamente nuova per me. Il film vuole essere un messaggio per tutti gli artisti contemporanei e specialmente per i registi affinché capiscano che il successo non è così importante. Ho voluto mettere una sorta di happy ending a metà del film con la scena del concerto, ma poi il film prosegue con Beethoven che sente di dover continuare a comporre anche se il pubblico non capisce più la sua musica. È molto difficile oggi trovare un artista pronto a sacrificare il successo per la sua arte.

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