SAN SEBASTIAN 58 – “Amigo”, di John Sayles (Concorso)

amigo chris cooper
E’ una guerra dimenticata dal cinema, la guerra americano-filippina, quella che John Sayles racconta in Amigo. Condividono lo stesso senso d’assedio e d’impotenza  gli occupanti e gli occupati, mentre avanzano incerti, con il loro bagaglio di buone intenzioni e di rancori mai sopiti, ma tutti ugualmente intrappolati in mezzo ad una guerra dove sono solo pedine inerti
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amigo di john sayles1898, Filippine. L’esercito americano combatte una guerra sporca, prima contro la Spagna, al fianco del popolo filippino guidato dal generale Aguinaldo, e poi, dopo aver stretto un patto segreto con gli spagnoli, contro l’indipendenza sognata dalle Filippine. E’ una guerra dimenticata dal cinema, la guerra americano-filippina, quella che John Sayles racconta in Amigo. Piccole storie di quotidiana lotta per la sopravvivenza, a Sayles non interessa il ritmo spettacolare delle pallottole e non ha bisogno del sangue per raccontare la morte, ma si ferma a guardare, partecipando dolorosamente al destino di ciascuno dei suoi personaggi, le speranze e le paure delle notti insonni, la festa, sacra e pagana allo stesso tempo, per celebrare tutti insieme, filippini e americani, il patrono del villaggio, il sudore speso sulla risaia coltivata nel fango e infine distrutta, perchè la popolazione si ostina a proteggere i ribelli. E ancora, i segni della storia, le ombre residuali della dominazione spagnola, che convergono in quella figura così complicata del prete che si contende, con il sindaco Rafael, il dominio terreno e spirituale del villaggio. Oltre l’intricato reticolo di storie che s’incontrano, con tutte le loro umanissime contraddizioni, a persistere nella trasparenza delle immagini che Sayles ci consegna è lo smarrimento fatto di tante, diverse motivazioni, tutte troppo parziali. Ancora una volta, Sayles gira un film corale e stratificato che, nella sua generosità multiprospettica capace di regalare a chi sta dall’altra parte dello schermo una libertà inaudita, nel suo rigoglioso e perfetto impianto narrativo che non si arroga mai il privilegio di giudicare, riesce a trasmettere un sensazione di abbagliante autenticità. Condividono lo stesso senso d’assedio e d’impotenza, e noi assieme a loro, gli occupanti, quelle forze americane di pace che sembrano le stesse in ogni guerra, e gli occupati, i filippini, civili e ribelli, mentre avanzano incerti, con il loro bagaglio di buone intenzioni e di rancori mai sopiti, ma tutti ugualmente intrappolati in mezzo ad una guerra dove sono solo pedine inerti. Amigo è di nuovo un’opera meravigliosamente aperta, come il finale di Limbo e come la vita stessa. Oltre il fermo immagine che conclude il film, dopo il telegramma arrivato troppo in ritardo che uccide Rafael, l’”amigo” eletto portavoce del villaggio occupato, e che non può non riportare alla mente il finale di quel capolavoro fulleriano che è Il grande uno rosso, rimane la sensazione che la guerra in realtà non sia ancora finita e che ognuno dei personaggi di Amigo, con il suo pezzo di verità tronca ed un posto guadagnato nell’inferno sulla terra, sia solo ancora più colpevole e disperato. Lo sa bene il tentente americano interpretato da Garrel Dillahunt, che, dopo aver inseguito la chimera della convinvenza pacifica, impara a scendere a patti con l’ingiustizia, perchè così è fatta la guerra. Amigo è un film dannatamente amaro, non tanto per quel terribile scherzo che condanna a morte Rafael, ma perchè ritrae un mondo dove non esistono vinti e vincitori, solo un esercito di sconfitti o, peggio, come il colonnello interpretato da Chris Cooper e il suo doppio, lo spietato ribelle filippino ossessionato dai cinesi, di anime irreversibilmente anestetizzate.
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