SANS AMOUR – Game Over

amour di michael haneke

Nella casa chiusa di Haneke, spira anche l'ultimo desiderio di vita, di carne, di corpi ai limiti della contorsione maniacale, persi nella pornografia del dolore. Ciò che riesce benissimo al regista austriaco, non è di rappresentare e dar vita a soggetti/oggetti inanimati, bensì il contrario, mortificare l'animato nell'inanimato.

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amour di michael hanekeI “Funny Games” si spengono inesorabilmente nell'anticamera dell'amour. Anticamera del cinema, oltre cui senti solo il tanfo della morte, che certamente è qualcosa che non si può rimuovere dalla nostra vita terrena, ma nella casa chiusa di Haneke, spira anche l'ultimo desiderio di vita, di carne, di corpi ai limiti della contorsione maniacale, persi nella pornografia del dolore. La contorsione che, per spirito creativo, l'autore mostra nel finale, che dovrebbe essere l'inizio della fine, o meglio, l'inizio di una storia senile, vecchia e decrepita, che sfiorisce prima di nascere, proprio nell'anticamera del nulla, sotto il peso di una pietra tombale, anche questa impalpabile, come un cuscino di piume. Il cinema di Haneke s'interrogherebbe sulla spietatezza del limite e l'amore dovrebbe essere un sentimento di unione intenso e coinvolgente, una dinamica affettiva che intreccia e amalgama la vita e l'anima di due esseri umani, li fonde e li trasforma in un'unica entità in azione e in contemplazione di sé, fino all'abbraccio mortifero, definitivo. Prima della fine, o fino alla prima, si cincischia con un piccione (a proposito di piume), che invade il set, entrando da una finestra aperta e posandosi sul parquet. Ci son voluti diversi minuti prima che Trintignant riuscisse a farlo volare via. Non si trattava probabilmente di un piccione viaggiatore, perché dava la sensazione di essersi smarrito, impaurito e di non trovare più la via. Il viaggio sembrava anche per il piccione essere giunto inesorabilmente a termine. Ma la natura della bestiolina si è ribellata fortunatamente in tempo dall'imbalsamazione, dall'ombra nefasta dell'autore di impressionare il mondo circostante in un'unica e decadente natura morta. Ma ciò che riesce benissimo al regista austriaco, non è di rappresentare e dar vita, in un certo senso, a soggetti/oggetti inanimati, bensì il contrario, mortificare l'animato nell'inanimato. Haneke, guarda caso, è però più vicino al genere Vanitas”, ovvero la natura morta con espliciti riferimenti alla brevità e alla caducità della vita. E i suoi elementi più o meno allusivi sono il teschio, la clessidra, la candela spenta, i fiori appassiti o recisi, la frutta che sta marcendo o altri cibi in evidente via di deterioramento. L'amore e la morte? No, è l'amore o la morte…

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