Sasha e il Polo Nord, di Rémi Chayé

La semplicità del tratto stilistico non diventa mai difetto. Fiorisce invece nel volto da antica matrioska di Sasha, la cui avventura altro non è che l’accettazione e il superamento del lutto

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San Pietroburgo, 1882. In una grande casa vive la giovane aristocratica Sasha. Dopo la morte dell’amatissimo nonno Oulokine, rinomato esploratore dell’Artico, Sasha sogna di partire verso il Grande Nord, anche se questo vuol dire tradire le aspettative dei genitori che vogliono darla presto in sposa.

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Sasha e il Polo Nord del francese Rémi Chayé è il primo lungometraggio del regista, impegnato prima in cortometraggi o collaborazioni con altri autori. E prima ancora in studi fumettistici,  scuole d’illustrazione e solo dopo disegno animato. L’artista francese, insieme all’illustratore Liane-Cho Han, trasferisce nell’animazione un ricordo del libro e della carta, un che di antico del pastello e della matita, soprattutto nel disegno della neve che scende dal cielo e che per buona parte del film invade la scena. La  semplicità del tratto stilistico non diventa mai difetto e non nasce solo dalla neve che appiattisce con eleganza il paesaggio. Al contrario, risiede nella linearità dei volti liberi dei segni del tempo, il viso di Sasha simile a quello di un’antica matrioska, il fiume di San Pietroburgo che scorre placidamente… Tutto contribuisce a rilassare lo sguardo. Il bianco del Polo Nord smette di rassicurare solo quando si apre nella sua gelida e impassibile ostilità, quando attraverso un tratto mosso ma sinuoso Chayé e Liane-Cho Han restituiscono il vento e la tempesta, il gelo che sale dal terreno e avvolge i dintorni. Donando sempre e comunque silenzio.

Sasha, quattordicenne che non sorride mai, si imbarca per ritrovare la Davai, la nave del nonno sperduta al Polo. L’avventura si fonde alla perfezione con l’accettazione e il superamento del lutto, riprendendo la struttura delle fiabe più antiche. Solo raggiungendo il Polo Nord, Sasha può staccarsi da quella figura scomparsa, molto più paterna del padre stesso. Solo arrivando lì, nell’aldilà personale del nonno Oulokine, la parte superiore del mondo nel titolo originale. Il lutto si estende infatti per tutta la storia, bagna le immagini mai realmente luminose, neanche quando il sole si fa spazio fra le nuvole. La liberazione di Sasha non avviene quando scappa dalle costrizioni paterne ma quando riesce a dare un contorno tangibile ai ricordi che la opprimono, non soffrendoli da sola nei meandri della mente, ma liberandoli nel legno ghiacciato della Davai. E anche se la spedizione include tutto l’equipaggio della nave che porta Sasha al Polo (il duro capitano Lund, ma anche rimanendo a terra la dolce albergatrice Olga), è ovviamente solo lei l’eroina capace di risolvere la storia, la sola a camminare nella neve da cui cerca di far emergere il passato.

Sorretto dalle musiche malinconiche di Jonathan Morali (compositore di Life is Strange, avventura grafica della Dontnod Entertainment), Sasha e il Polo Nord si specchia nella sua ambientazione fredda e luccicante, muovendosi con lentezza e dosando le sue emozioni come fossero rumori attenuati dalla neve.

 

Titolo Originale: Tout en haut du mond
Regia: Rèmi Chayé
Durata: 81′
Origine: Francia, Danimarca, 2017
Distribuzione: P.F.A Films

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    Un commento

    • John Blacksad

      Ma alla fine vi è piaciuto o no ? Non è troppo chiaro

      “le immagini mai realmente luminose”
      Bum. Non è vero.