Savages, di Claude Barras
La storia di una tribù del Borneo minacciata dai bulldozer delle multinazionali è un grande invito alla ribellione che ispira e istruisce al dissenso organizzato dal basso. RoFF19. Alice nella città
“Siamo la natura che si difende”, è la scritta che campeggia sul manifesto esposto dai protagonisti di Savages, il nuovo film di animazione di Claude Barras. Ambientato ai margini della foresta pluviale del Borneo, il film racconta di Kéria, una bambina che salva e accoglie un cucciolo di orango dalla violenza dei disboscatori che operano per conto del governo. Nello stesso momento, suo cugino Selaï si rifugia nel suo villaggio per sfuggire al conflitto che oppone la sua tribù di Penan ai bulldozer delle multinazionali. Kéria, Selaï e il cucciolo di orango chiamato Oshi, si ritrovano così insieme ad affrontare la foresta e la minaccia della sua distruzione. Per la piccola Kéria sarà l’occasione per riscoprire le proprie origini e conoscere il destino della madre scomparsa anni prima.
Otto anni dopo il fenomenale La mia vita da zucchina, Claude Barras torna al cinema con un nuovo film animato in stop-motion, più maturo nelle tecniche e delicato nel racconto. Con Savages il regista svizzero affronta il tema ambientale senza alcuna retorica, scegliendo di raccontare la vera storia della tribù dei Penan come prototipo di una vicenda universale, nel tempo e nello spazio. I selvaggi di cui parla il titolo non sono certo gli indigeni, ma quei grigi omuncoli al soldo delle multinazionali che portano avanti i loro piani di devastazione. “Il mondo non ci appartiene. Lo abbiamo in prestito dai nostri figli”, basterebbero queste parole comparse nelle prime sequenze a chiarire la posizione dell’autore.
Attraverso gli occhi della piccola Kéria, a metà tra il mondo “civile” e quello della tribù, esploriamo le bellezze della foresta e ne restiamo affascinati. I colori, le figure animali, i suoni, tutto l’ecosistema creato dagli autori contribuisce ad immergere lo spettatore in un universo spettacolare, capace di riconciliare con l’essenza primordiale della natura umana. Il regista ha raccontato di aver trascorso diverso tempo insieme ai Penan per conoscere le loro usanze e il loro modo di vivere la foresta, tanto da collaborare con alcuni di loro e avere la possibilità di invitarli alla prima del Festival di Cannes. Tutto ciò si percepisce nella cura dei dettagli e nelle affascinanti peculiarità della tribù, come gli espedienti per non perdersi nella foresta, i suoni gutturali o le dinamiche di caccia e il rispetto delle prede.
Savages non nasconde la violenza e la malvagità, la foresta non è sempre un luogo accogliente e ciò che accade ed è accaduto in quei luoghi non sempre può essere accettato senza lottare. Il film di Barras è un grande invito alla ribellione, istruisce al dissenso emotivo e organizzato, considera i diritti degli invisibili e punta il dito verso l’avidità dei privilegiati occidentali. Chiama in causa lo spettatore senza remora accusando la società capitalista e immaginando una realtà diversa, un mondo più lento e attento all’universo naturale che ci circonda. La piccola Kéria diventa così la paladina ideale di un movimento di protesta per la giustizia ambientale nato dal basso, semplicemente attraverso i social. Con queste premesse il film è già passato in diversi festival internazionali come Cannes, Locarno, Londra e Roma, portando il proprio sguardo commosso sul legame indissolubile tra uomo e natura.