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Scirocco e il Regno dei Venti, di Benoît Chieux

Un film evidentemente più visivo che narrativo, che non si ferma mai, affastella immagini, idee, spunti come a voler riordinare decenni di cinema d’animazione. Peccato gli manchi l’affondo sul finale

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Si conferma un grande osservatore di ciò che lo circonda, il cinema francese, capace di organizzare materiali eterogenei, di pescare a piene mani da spazi non scontati, di far andare di pari passo spunti apparentemente impossibili da conciliare. E questo sguardo così reattivo, affascinante, emerge soprattutto in contesti in cui sembra più difficile attecchisca, come in questo Scirocco e il Regno dei Venti, che nasce sulla scia di Flow (ed è prodotto da un gruppo che già si occupò del film di Zilbalodis) e che di fatto è il racconto di un altro viaggio, quello delle sorelle Juliette e Carmen che un pomeriggio, dopo una magia, “entrano” nel regno incantato dove si ambientano le storie create dalla mente della migliore amica della loro madre. Qui, trasformate in gatte, le due dovranno capire come tornare a casa e, dopo aver stretto amicizia con l’affascinante cantante Selma, si confronteranno con un oscuro segreto custodito dal misterioso sovrano del Regno dei Venti.

Si parte da una premessa labilissima dunque, ma in realtà lo spunto narrativo è soprattutto un pretesto per organizzare un’avventure che non si ferma mai, retta da una scrittura leggerissima, quasi senza peso ma soprattutto da una direzione artistica solida, che riordina un archivio apparentemente gigantesco in cui si ritrovano l’ovvio Miyazaki e Mobius, le riflessioni di Enzo D’Alò e i colori schizzati e la gioia di inventare luoghi, creature, mondi di Adventure Time.

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È sempre sul filo del (solidissimo) gioco virtuoso, che costantemente affastella eventi ed idee con cui cercare lo stupore dello sguardo, eppure è evidente che ci sia vita in quelle immagini, che Chieux provi a infondere a ciascuna di quelle idee una parvenza di calore. E così tra le vertigini (tra tutte, pensiamo alla sequenza di canto di Selma) sembra esserci anche il tentativo di usare quelle stesse immagini per costruire una riflessione in realtà non scontata sul senso della perdita e sul lutto.

Scirocco e il Regno dei Venti è un film molto più visivo che prettamente narrativo, quasi fosse una costola del cinema di Michel Ocelot. Probabilmente è lui la più forte ispirazione del progetto?. Appena si lega al testo, in effetti, tende a perdersi. Chieux è in realtà abile ad evitare che ciò accada in uno dei momenti centrali del film, quello del racconto in flashback del personaggio di Selma ma poi probabilmente lascia che il film ceda troppo sul finale. L’ultimo atto rimane in effetti ricchissimo di spunti ma perde molta della forza suggestiva che l’ha portato fin lì. Ed è un po’ come se il film si tirasse indietro prima dell’affondo finale, come se non si rendesse conto di quanto fatto finora, come rischiare di fare un torto ad un film del genere, renderlo leggibile, convenzionale, simile ad un tipo di cinema che, finora, aveva provato orgogliosamente ad evitare.

Titolo originale: Sirocco et le royaume des courants d’air
Regia: Benoît Chieux
Vovi: Maryne Bertieaux, Aurélie Konaté, Laurent Morteau, Pierre Lognay, Loïse Charpentier
Distribuzione: Trent Film
Durata: 80′
Origine: Francia, Belgio, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
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Il voto dei lettori
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