SCONFINAMENTI – Mayol, profondo blu,

Se n'è andato a 74 anni Jacques Mayol, il re dell'apnea che aveva riscritto la storia della profondità utilizzando yoga e training autogeno. Proprio mentre in Italia, finalmente, sta per uscire il film a lui dedicato da Luc Besson, "Le Grand Bleu"

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E' tienne, il protagonista de “Il fanciullo maledetto” di Balzac finì per entrare in empatia con l'Oceano: il mare divenne per lui un essere animato e pensante. Chissà se Jacques Mayol aveva letto quel romanzo. Oramai, purtroppo, non ce lo potrà più raccontare, perché colui che è stato il pioniere degli abissi, l'uomo delfino, il filosofo delle profondità, ha deciso di protrarre la sua ultima apnea all'infinito, impiccandosi subito prima di natale, all'età di settantaquattro anni, nella sua abitazione di Calone, nel comune di Capoliveri, all'Isola d'Elba, dove abitava da tempo, e dove nel lontano 1983, per primo infranse il muro dei 100 di profondità (-105) in apnea, spiazzando per l'ennesima volta il suo rivale di sempre, Enzo Maiorca, col quale contese a colpi di record e immersioni, il titolo di "Re dell'apnea". Ci furono altri pionieri prima di loro, gli italiani Novelli e Falco, ma a quei tempi le conoscenze mediche sul comportamento dell'uomo a grandi quote di profondità erano assai scarse. Fu invece proprio con Mayol (e in parte con Maiorca) che la scienza subacquea fece passi da gigante, portando le quote di immersione in apnea a livelli impensabili per gli anni precedenti.
Con Mayol se ne va un pezzo di storia del mare, non soltanto delle immersioni. E c'è anche una strana "coincidenza", sinistra e perturbante, legata alla sua scomparsa. Nel finale di “The Big Blue”, lo splendido film di Luc Besson dell'88 sulla vita, l'amicizia e la rivalità fra i due apneisti, Mayol si suicida, in mare però. Vengono i brividi a ripensare a quella scena, quando, in piena notte, prende il largo, si attacca a una pesante zavorra e scende, scende, fino a dove il blu del mare si trasforma in nero, dove l'acqua diventa solitudine, immobilità, silenzio. E dove invece di risalire segue i delfini, i suoi amati delfini, e insieme scompaiono nell'abisso, per non riemergere mai più. Carl Gustav Jung sosteneva che la morte in acqua è la più materna delle morti ("il desiderio dell'uomo è che la morte e la sua fredda morsa diventino il grembo materno, esattamente come il mare, che pur inghiottendo il sole, lo fa rinascere nelle sue profondità"), e lo psicoanalista Sandor Ferenczi, nel suo libro “Thalassa” (che in greco significa mare), sottolineava invece come l'attrazione per l'acqua derivi dalla nostra remota e ancestrale origine acquatica. Ma allora perché il grande campione non ha ripetuto la scena finale del film, al quale, fra l'altro, collaborò come sceneggiatore (in altre parole aveva previsto da tempo il suo suicidio)? Se lo chiedono in molti e nessuno sa trovare una risposta plausibile. Da tempo soffriva di depressione, ma fra i suoi conoscenti e amici, nessuno avrebbe pensato che la malattia si fosse aggravata al punto da portarlo lucidamente e quasi "scientificamente" al suicidio. A trovare il corpo è stata una vicina di casa, che si era allarmata per non aver avuto risposta alla sua chiamata. Lo ha trovato appeso al soffitto con una corda al collo e con una lettera indirizzata ai carabinieri, nella quale chiedeva di avvertire i parenti e esprimeva il desiderio di essere cremato e che le sue ceneri fossero disperse in mare (torna prepotentemente alla memoria l'immagine di Maria Callas, che espresse gli stessi voleri).
"Lo avevo visto l'ultima volta a novembre, nella sua casa dell'Elba. Sapevo della depressione che lo opprimeva. Diceva di sentirsi solo, ma non avrei mai immaginato un gesto così", ha dichiarato Umberto Pellizzari, allievo di Mayol e nuovo recordman di discesa in apnea in assetto variabile con -131 metri. "Era stato il mio primo maestro. Da lui – ricorda Gianluca Genoni, altro campione della profondità – ho imparato come la forza della mente possa aiutare nella disciplina dell'apnea profonda". E infatti il grande Mayol è stato il primo in assoluto ad utilizzare lo yoga, il training autogeno e altre tecniche di rilassamento per aumentare enormemente le apnee ("Bisogna diventare un tutt'uno con l'atto del non respiro", scrisse in uno dei suoi numerosi libri di "filosofia esoterica" del mare): i risultati di Pellizzari e Genoni, e dei loro numerosi allievi presso Apnea Academy, confermano che il maestro degli abissi ci aveva visto bene. Era convinto che con un controllo perfetto del respiro l'essere umano fra qualche anno sarebbe potuto scendere fino a -200, mantenendo un'apnea di quasi dieci minuti. La strada l'ha aperta e la storia è ben lungi dall'essere finita: staremo a vedere.
Mayol era nato nel 1927 a Shangai, in Cina, e da lì si era spostato col padre architetto in Giappone, dove si innamorò del profondo blu e dell'animale simbolo per eccellenza del mare, il delfino, al quale dedicò anche l'ultimo dei suoi libri “Homo Delphinus. Il delfino dentro l'uomo.” Lavorò anche nell'acquario di Miami, dove divenne l'amico inseparabile di un delfino femmina di nome Crown, con la quale passava ore e ore sott'acqua. Il suo primo record di apnea risale al 1966, quando nelle acque delle Bahamas scese a -60, battendo il polinesiano Teteke Williams. Sei anni prima Enzo Maiorca era sceso a -45 nelle acque di Siracusa: nel corso di quel decennio, fra gli anni Sessanta e Settanta, il mondo intero rimase incollato davanti alla televisione per seguire le sfide fra i due. Scendevano sempre più in giù, si contesero il primato fino al 1974, quando il siciliano fu per l'ultima volta campione con -87. Poi successe il miracolo: Mayol nell'83 sfondò il muro dei -100. Aveva cinquantasei anni.
(da "il manifesto” del 23/12/2001)

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