"Scorie in libertà", di Gianfranco Pannone


Nell'agropontino, territorio “sperimentale”, in cui tutte le contraddizioni politiche del nostro Paese, sembrano da sempre trovare uno sfogo naturale, Pannone persegue il diario intimo in un certo senso “glocal”, per cui il livello nazionale, che è tutto nell'illusione di una Paese che ha creduto nel nucleare come panacea di tanti mali, senza fare i conti con i problemi che nucleare stesso porta con sé, si mescola al problema internazionale, col dubbio che l'Italia sia stata controllata dai Paesi “liberatori”, Usa e Gran Bretagna

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Il regista di origini partenopee, dopo Piccola America (1991) e Latina/Littoria (2001), torna a girare nel territorio agropontino, dove è cresciuto. Nella cosiddetta “palude redenta”, voluta da Mussolini durante il ventennio fascista, precisamente a Borgo Sabotino, nei pressi di Latina, nel 1963, in pieno Boom economico, fu costruita una centrale nucleare su progetto inglese, allora la più grande d’Europa, accolta da tutti con grande entusiasmo. In quegli anni, Pannone e altri suoi amici, soprannominati la banda del Super8, documentavano per immagini l'anima antinuclearista locale. Dopo Cernobyl, il regista rivede i vecchi amici di un tempo e indaga sulla storia del nucleare a Latina, che vide, tra l’altro, nei primi anni ottanta la costruzione di un secondo reattore sperimentale tutto italiano mai andato in funzione, il Cirene. Mentre tra il 2010 e il 2011 si accende il dibattito in seguito alla decisione di Silvio Berlusconi di attivare con i francesi un nuovo piano nucleare a distanza di ventiquattro anni dal referendum che ne sancì la fine, l’incidente nucleare di Fukushima ridà fiato alla protesta degli ambientalisti. Un nuovo referendum popolare proclamerà il secondo stop del nucleare italiano, ma Pannone si preoccupa di indagare soprattutto sulle tante scorie, materiali e morali, che sono rimaste nel territorio intorno alla centrale nucleare e che non scompariranno a breve termine. Ad aiutarlo nel piccolo viaggio sono un amico ambientalista che oggi si occupa di agricoltura biologica, e il proprietario di uno stabilimento balneare, distante dal reattore solo un chilometro. E poi un fisico fuori dal coro, un pittore e i suoi quadri ossessionati dal nucleare, un giovane biologo, uno zio operaio/contadino e il fratello impegnato politicamente sul territorio.

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Appunto, in questo territorio “sperimentale”, in cui tutte le contraddizioni politiche del nostro Paese, sembrano da sempre trovare uno sfogo naturale, Pannone persegue una strada in un certo senso “glocal”, per cui il livello nazionale, che è tutto nell'illusione di una Paese che ha creduto nel nucleare come panacea di tanti mali, senza fare i conti con i problemi che nucleare stesso porta con sé, si mescola al problema internazionale, col dubbio che l'Italia sia stata controllata dai Paesi vincitori, Usa e Gran Bretagna, per impedire che diventasse una potenza energetica o che addirittura potesse vendere i segreti sul plutonio a paesi “canaglia”, quali Libia o Iraq, sulla base del ritrovamento, qualche anno fa, di documenti riservati della CIA. Pesci cinesi (cefali con strane malformazioni genetiche), pescati nel mare “radioattivo”, fabbriche dismesse con carichi di amianto da smaltire, abusivismo selvaggio, tutto questo sembra giustificare una famosa frase di Winston Churchill: “L'unica cosa che mancherà sempre all'Italia, è la totale indipendenza politica”. Pannone, nell'incedere tipico di Michael Moore, con un atteggiamento più conciliativo e meno schierato, segue narrativamente e visivamente il cammino segnato dalle quattro leggi dell'ecologia di Barry Commoner, uno dei padri della moderna ecologia, perfettamente descritti nel testo-manifesto, “Il cerchio da chiudere”: ogni cosa e connessa con ogni altra. C'è una sola ecosfera per tutti gli organismi viventi e ciò che interferisce con uno, interferisce con tutti gli altri; ogni cosa deve finire da qualche parte. In natura non ci sono “rifiuti” e non c'è “un lontano” dove le cose possono essere gettate; la natura è l'unica a sapere il fatto suo e sceglie sempre la strada migliore (Nature knows best); non ci sono pasti gratuiti. Lo sfruttamento della natura inevitabilmente porta alla trasformazione di risorse da utili a inutili. 

Cinema civile con un occhio antropologico rivolto soprattutto alla storia grande e piccola del Nostro Paese. L'indignazione in fondo resta contenuta, ma questo paradossalmente è un punto di forza di questo documentario perché l'impressione è che dopo alcuni passi ci si perde tra la paranoia e la rivoluzione, ai limiti della contesa esistenziale, potendo scegliere di non pensarci più. Sarebbe troppo liberarsi da una visione del mondo e perdersi nella sua rifrazione, nel suo dettaglio, ad armi pari. Perdersi ancora nell'assenza e non nell'essenza del mondo, in ogni suo dettaglio, come un'illusione che non si oppone alla realtà e ne costituisce un'altra più sottile, che avvolge la prima del segno della sua scomparsa. Gianfranco Pannone non ci lascia liberi, denuncia e si ripete, non sentenzia ma documenta.

Regia: Gianfranco Pannone
Origine: Italia, 2012
Distribuzione: Kimerafilm
Durata: 73'

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