Selma. La strada per la libertà, di Ava DuVernay

Ha evitato i rischi retorici del biopic grazie ad un approccio che predilige la necessità di costruire una memoria collettiva riuscendo a eliminare gli eccessi della militanza senza addolcirla.

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12 Years a Slave di Steve McQueen ha vinto l’Oscar del 2014 ma l’elenco dei film che hanno avuto un certo rilievo in questi anni obamiani è molto lungo. Selma di Ava DuVernay si è inserito nella stessa strada che è stata tracciata da The Butler di Lee Daniels e da The Help di Tate Taylor anche se il suo compito era molto più complicato: una versione cinematografica di un santo come Martin Luther King presentava molti più pericoli che opportunità. Il rischio di farne una ridondante agiografia era un’insidia equivalente a quella di non dare abbastanza spessore alla sua immensa statura politica ed umana.

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Ava DuVernay ha evitato i rischi retorici del biopic grazie ad un approccio che predilige la necessità di costruire una memoria collettiva e che allontana l’eroismo individuale per mettere al centro la partecipazione alle tappe fondamentali di una sollevazione. Selma rispetta anche un’altra condizione di questo progetto non dichiarato ma molto diffuso: l’urgenza di raccontare un passato di schiavitù e di privazione non ha un intento vendicativo e non è macchiato dal risentimento.
Lo scopo finale di questa tendenza è una riconciliazione nazionale che può avvenire soltanto attraverso l’inevitabile presa di coscienza popolare: un’ammenda che deve eliminare gli eccessi della militanza ma non deve censurare gli aspetti più scomodi del passato.

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david oyelowo e tom wilkinson in selma. la strada per la libertàLa rievocazione della bloody sunday del 18 marzo del 1965 non fa sconti a nessuno e la rappresentazione dell’irriducibile razzismo delle autorità locali è impietosa: un atteggiamento che non era sporadico ma era condiviso ed incoraggiato da tutta la popolazione bianca della cittadina sudista. I brutali metodi di repressione dello sceriffo Jim Clark hanno la stessa funzione drammatica della disumana crudeltà dei dignitari nazisti e della connivenza dei tedeschi: un momento di vuoto della ragione che può essere perdonato ma non deve essere rimosso.
Una tattica di scrittura che i film dell’epopea afroamericana hanno imparato dalle più importanti testimonianze cinematografiche sull’Olocausto. Il salto di qualità rispetto ai primi tentativi di Spike Lee è evidente e la discriminante tra le due visioni è proprio quella del superamento del conflitto.
Un film come Malcolm X del 1992 era il risultato di uno sguardo che era ancora escluso mentre Selma è lo specchio di una minoranza che celebra l’indicibile sofferenza che ha accompagnato la sua integrazione.

La sceneggiatura di Paul Webb è molto abile a ripetere lo schema di Lincoln di Steven Spielberg e a trasformare le debolezze di Martin Luther King nei punti di forza di un personaggio. Il film non nega la spregiudicatezza diplomatica dell’attivista e le sue forzature per cercare uno scontro che mettesse pressione alle istituzioni. La trama non evita la contraddizione tra l’immagine pubblica del condottiero e il cinico pragmatismo del politico. La grettezza dei cittadini della cittadina e gli abusi gli servono come una leva per fare aedere l’iniziale riluttanza di Lyndon Johnson ad occuparsi della materia. La celebre immagine di comunione d’intenti che ha immortalato la firma del Voting Rights Act del 1965 viene decostruita con la storia sotterranea dellestrumentalizzazioni che hanno convinto il Presidente degli Stati Uniti. Il lavoro sporco che è stato necesario viene ripercorso con la stessa perizia che aveva seguito le acrobazie diplomatiche di Abraham Lincoln per ottenere i voti sufficienti all’abolizione della schiavitù. La non-violenza era uno strumento che funzionava solo attraverso l’aggressione del nemico e gli attivisti cercavano con insistenza un martire e un massacro con cui sconvolgere l’opinione pubblica.

Martin Luther King ne esce come un uomo che era disposto a tutto pur di arrivare al suo scopo e la straordinaria interpretazione di David Oyelowo tiene conto soprattutto della sua dimensione umana invece di caricarsi di una levatura salvifica. La sua azione doveva accettre il peso delle vittime innocenti e il sacrificio dei suoi affetti personali: un sentiero lastricato di dubbi che apre l’eroe ad una demitizzazione persuasiva. Selma indovina la scelta più importante: abdica al momumento di un leader e la dimensione di primus inter pares è molto più efficace e commovente.

 

 

Titolo originale: Selma
Regia: Ava DuVernay
Interpreti: David Oyelowo, Tom Wilkinson, Cuba Gooding jr., Alessandro Nivola, Tim Roth, Giovanni Ribisi
Distribuzione: Notorius Pictures
Durata: 127′
Origine: Gran Bretagna, 2014

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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