SentieriSelvaggi intervista Stefania Ippoliti

Il nostro incontro in esclusiva con la Presidente di Italia Film Commission e Responsabile Mediateca e Area Cinema di Fondazione Sistema Toscana. La versione integrale nel prossimo SSMagazine

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SentieriSelvaggi ha intervistato in esclusiva Stefania Ippoliti, recentemente riconfermata Presidente di Italian Film Commissions e Responsabile Mediateca e Area Cinema di Fondazione Sistema Toscana. Nel corso di questo lungo incontro, abbiamo parlato delle attività svolte dalle Film Commission in questi dieci anni sia nell’ambito della produzione e realizzazione dei film, sia nei festival e nell’attività di formazione. Cogliendo limiti e potenzialità ma soprattutto soffermandosi sugli scenari futuri dopo la nuova Legge Cinema.

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Sei entrata alla Toscana Film Commission nel 2006 e ne sei diventata Direttore nel 2007. Che bilancio si può fare di questi dieci anni e quale è stato l’apporto che le Film Commission hanno portato, a livello produttivo, ai film italiani?

Credo che la crescita delle Film Commission sia stata esponenziale. Abbiamo iniziato in un modo un po’ eroico cercando di imparare questo mestiere perché siamo venuti dai settori più diversi. C’era chi veniva dalla pubblica amministrazione, chi da lavori di organizzazione culturale come nel mio caso..Abbiamo osservato questo ambiente, abbiamo viaggiato cominciando a frequentare i festival. Mi ricordo la prima volta che siamo andate a Cannes con Raffaella Conti, responsabile della Toscana Film Commission, sembravamo Hansel e Gretel. Venivamo da tutto un altro mondo: lei è laureata in letteratura russa, io ho fatto Giurisprudenza. Quello però che mi piace sottolineare, rispetto a questi tempi pioneristici e’ che abbiamo imparato questo mestiere in grande rapidità e la professionalità con cui adesso lo svolgiamo è alta. Le differenze fra una Film Commission e un’altra (che possono esserci per molte ragioni, per motivi di fondi, per decisioni politiche) sono sempre minori. E quindi si può contare, come Paese Italia, su un’accoglienza con standard alti. L’apporto delle FC quindi è importante. È quello che può dare un’accoglienza professionale, che ti mette in contatto con usi e costumi locali perché, soprattutto per chi viene da altri paesi, non è per nulla banale capire come ci si comporta. In più hai qualcuno che ti garantisce, per esempio, collaborazioni con imprese locali serie e con risorse tecniche di valore sul territorio. È importante che le FC abbiano dei database collegati con i curriculum perché questo rende possibile il fatto che non ci siano né vantaggi che uno non merita ma neanche delle scorrettezze o delle sorprese. Un produttore o un direttore organizzativo possono così valutare in base all’esperienza. Poi i colleghi delle Film Commissions possono dire: “lavora bene” o “lavora meno bene”. Ma il fatto che ci sia trasparenza anche nelle modalità di scelta è una bella cosa. Inoltre, va sottolineata la capacità di rendere accessibili location complicate e di dimezzare i tempi per ottenere le autorizzazioni. Avere un ‘uomo all’Avana’ per le produzioni è un aiuto impagabile. Parto da questo aspetto del nostro lavoro perché secondo me quello che a volte si sbaglia è pensare alle Film Commissions come degli erogatori sussidiari (e a volte neanche) di risorse. Trovo che questa sia una stortura, un’accezione sbagliata del nostro lavoro. E noi vorremmo superarla. Perché è importantissima la competizione fra territori, ma secondo noi si dovrebbe giocare tra l’aderenza e la rispondenza della storia, della parte autoriale, di quello che pensa il regista, il suo direttore della fotografia e il suo scenografo. E dovrebbe non brutalizzare e violentare la storia. È giusta anche una competizione tra territori. C’è chi è più rapido nelle autorizzazioni, chi ha maggiore facilità nell’organizzazione della logistica. Quello che mi dispiace è che a volte si cerca di girare in un posto invece che in un altro solo perché si ottengono maggiori fondi locali che, nelle produzioni italiane, hanno un rilievo molto alto. Le produzioni di taglia media sono quelle che hanno maggiore esigenza, per chiudere il loro budget (e in certi casi anche per aprire) delle risorse degli enti locali.

 

stefania ippolitiE secondo te possono esserci delle variazioni, anche già dalla trama dei film, proprio per questi motivi?

Ci sono state e ci sono. In certi casi sono irrilevanti e magari ti fanno sorridere se fai parte del mestiere e quel progetto lo conosci. Poi vedi che ‘magicamente’ ha un’ambientazione differente. Questi, per me, sono peccati veniali per certi versi ma storture per altri. In un mondo ideale mi piacerebbe che ci fosse una situazione più omogenea dal punto di vista dell’accesso alle risorse locali. Che sono importanti. Quindi, prima di tutto mi piacerebbe che si dicesse: “Le Film Commissions, per mestiere, si occupano di accoglienza, facilitazioni, guida, selezione. Quindi la Film Commission diventa il tuo migliore amico ma non diventa un socio, del progetto imprenditoriale. Questa è del resto un compito della produzione. Se poi ci sono risorse locali, tanto meglio. L’ideale sarebbe, per tutte le regioni italiane, un sistema secondo cui ‘tu spendi tot’ e io ti restituisco una parte percentuale. Un sistema automatico che in qualche modo abbatta i costi sostenuti localmente e che renda più semplice spiegare a chiunque che cosa trova in Italia  oltre alla grande ricchezza del nostro Paese. Con tante regioni. Quindi, tante proposte. Di tipo finanziario, economico, accesso al credito diversificato. Se si trovassero un paio di temi che rendessero più armoniosa l’offerta, ne guadagnerebbe tutto il sistema. E le scelte si farebbero su altri elementi. Poi mi piacerebbe molto che noi le risorse le dessimo alle opere prime, forse alle opere prime e seconde, ai documentar e, in certi casi, per la distribuzione. Mentre invece chi è, per esempio, oltre il secondo film, dovrebbe poter accedere a ros orse e finanze del mercato. E, ce lo siamo detto anche con gli altri colleghi in molti occasioni, vorremmo che ci fosse anche un sistema di garanzia messo a disposizione dagli enti locali, che hanno tutti .un sistema che già esiste per rendere possibile un finanziamento che costi poco (perché ci sono delle garanzie reali che rendono meno rischioso per le banche darti accesso al credito). Questo renderebbe tutto meno caotico. Vorrei quindi che un po’ lo rivedessimo questo sistema attuale. Ma in questi dieci anni le Film Commissions hanno affinato il loro pensiero anche rispetto a quello che dovrebbe essere il loro mestiere perché hanno avuto tante esperienze e tanti confronti. Anche a livello europeo. Non cito i paesi extraeuropei perché hanno dei sistemi di finanziamento, di fare impresa, di tassazione, così diversi dai nostri che dei parallelismi potrebbero risultare avventurosi.

 

italian film commissionsIn sala escono ogni anno oltre 400 film e, in alcuni momenti dell’anno, anche 15 a settimana. Ad alcuni titoli italiani viene fatta fare la cosiddetta ‘uscita tecnica’. Molte di queste opere prime e seconde e documentari, pur essendo qualitativamente validi, non riescono ad avere (a differenza, per esempio, della Francia) un’adeguata visibilità?

Se mi ricordo bene, in Francia vengono prodotti meno film che da noi. E questo è un dato su cui dovremmo riflettere.

 

Ci sono circa 40 esordi ogni anno…

Che è un numero strabiliante. O abbiamo un vivaio con una creatività assolutamente fuori scala rispetto al resto del mondo, oppure abbiamo sbagliato qualche cosa. Anche perché il pubblico per tutta questa offerta non c’è. Bisognerebbe allargare il bacino d’utenza. Quello che si sta cercando di fare – e che la nuova legge sul Cinema invita a fare e anche l’Europa – è la creazione di nuovo pubblico. Credo che sia necessario avere una base più larga per fare in modo che queste opere, spesso finanziate con soldi pubblici, possano incontrare il pubblico. Altrimenti faccio fatica a capire perché produciamo tutti questi film.

 

Nella nuova legge Cinema c’è una categoria di film definiti ‘difficili’

Ho capito, vogliamo forse mettere un limite ai film ‘difficili’ che vogliamo finanziare con i denari pubblici? Perché occorre anche più coordinamento. Il ruolo che la Legge Cinema assicura alle Film Commissions faciliterà anche il fatto di fare dei ragionamenti condivisi. Bisognerà anche capire insieme (risorse dello Stato, risorse degli enti locali) quali limiti possono esserci per queste opere difficili. Quanto questo mercato può assorbire le opere prime? Pensiamolo. Su questo dobbiamo riflettere. 400 film sono un numero enorme.

 

Cinema Teatro Compagnia a FirenzeTra l’altro si chiude lo spazio anche a ottimi film europei e statunitensi, che vengono premiati anche ai festival, che però non trovano spazio in sala

E questo è un gran peccato. Permettimi poi di indossare un attimo la giubba di esercente. Negli anni abbiamo fatto delle esperienze che ci sono piaciute moltissimo. Prima abbiamo preso in affitto una magnifica e storica monosala monumentale che c’è qui a Firenze (l’Odeon in Piazza Strozzi). Un po’ ne abbiamo fatto la sede dei nostri festival e poi abbiamo sperimentato la gestione della programmazione. E ora siamo arrivati a casa con una sala tutta nostra, La Compagnia (il cinema a Firenze in via Cavour 50r). Abbiamo scelto anche una strada nuova che è quella di sperimentare la possibilità di avere una programmazione come un cinema qualsiasi per i documentari. Difficile. Siamo però fiduciosi. Percorrere delle nuove strade è un compito che, se viene svolto da delle istituzioni come siamo noi qui in Toscana, è secondo me meritevole. Ho l’ambizione di pensare che questo nuovo percorso potrebbe essere di esempio anche per gli esercenti che invece sono molto concentrati, giustamente, a far quadrare i conti. Questa strada tenta di andare alla conquista di un pubblico diverso accudito da introduzioni, approfondimenti. Non voglio dire che torniamo solo al dibattito vecchia maniera però vogliamo curare la nostra offerta. Per convincere le persone ad abbandonare il proprio salotto, il proprio comodo televisore, il loro computer, bisogna dare loro un valido motivo e fare in modo che la loro serata passata fuori abbia un senso. Innanzitutto si sta con gli altri. Il pubblico più giovane è meno attratto da questa fascinazione sociale del cinema rispetto, per esempio, alla mia generazione. Dovremmo quindi: 1) limitare le uscite delle opere prime e consentire la distribuzione di quella che abbiano davvero dei segni di novità. 2) Creare una multiprogrammazione. Questo è un lavoro impegnativo. Per i costi. E cambiare più titoli al  giorno è dura, Per la cabina di proiezione, per la promozione. Ti parlo di un problema con cui noi ci scontriamo tutti i giorni: i tamburini. I giornali ci odiano per il fatto che noi abbiamo quattro film al giorno. Perchè non hanno lo spazio. e perché succede che sbagliano l’orario. E quando avviene ci fanno un danno. Soprattutto quando abbiamo quattro titoli diversi ogni giorno . Dovremmo riflettere e chiederci: come proponiamo i contenuti al pubblico? Io vorrei – e molti miei colleghi sono d’accordo – che le Film Commission svolgessero un lavoro che ha a che fare con tutto il percorso: ideazione, produzione, realizzazione e distribuzione. A partire anche dall’educazione nelle scuole dove organizzare il lavoro con gli insegnanti. E smettere di creare frustrazione e di sprecare soldi (perché poi molti investimenti non hanno un ritorno di nessun tipo). Perché la frustrazione può derivare anche dal fatto che un film l’hanno visto solo dieci persone. E questo è un fallimento. Allora o si producono meno film. Oppure una serie di film escono al cinema. E bisognerebbe chiedersi se è sensato mantenere tutte queste aree di protezione per l’uscita in sala e chiedersi se è vero che accorciarle danneggia le sale o se invece è una paura atavica dell’esercente. Io non sono sicura che sia davvero così. Forse alcuni film che possono avere qualcosa di interessante ma non sufficiente per una circuitazione in sala potrebbero andare direttamente su un portale? Potrebbe esserci un test diverso dalle modalità standard?

 

Che è il metodo usato dalla musica, per esempio

La musica infatti è più avanti da questo punto di vista. I musicisti hanno capito che i concerti sono diventati il modo per far arrivare la propria opera al pubblico e non le vendite degli album. 

 

La versione integrale dell’intervista la potrete leggere sul numero 25 di Sentieri Selvaggi Magazine. Dove si parlerà di come le Film Commission decidono di appoggiare un progetto, del rapporto con i festival e l’attività di formazione.

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