#SentieriSelvaggi30 – Anniversari – Traiettorie di resurrezione 1: Sentieri selvaggi on-line (#9)

Il 1 aprile 2018 sono trascorsi 30 anni dalla nascita della rivista di cinema Sentieri selvaggi: la celebriamo, giornalmente, attraverso una serie di articoli, news, eventi, commenti e altre storie.

Autunno 1997, Sentieri Selvaggi, la rivista che ho creato dieci anni prima con Demetrio Salvi, sta per diventare un mensile in edicola. Per promuoverlo scegliamo un Festival che amiamo, Torino Cinemagiovani (oggi Torino Film Festival) e una cartolina con su un’immagine di Takeshi Kitano che, mani in tasca, passeggia sulla riva di un lago. Non ricordo benissimo perché all’epoca scegliemmo proprio quell’immagine (da Hana-Bi) per ‘raccontare’ la nuova esperienza di Sentieri
selvaggi, ma certo, a ripensarci oggi, quel volto incredibile, quel corpo perennemente in lento movimento verso un qualcosa di assolutamente indefinito, era l’icona più adatta a rappresentare l’esperienza poliforme e fuori dalle regole di Sentieri selvaggi. Quell’esperienza in edicola finì
male, ed ecco che Kitano sembrava già raccontare una storia nostra, quella di un piccolo e forse necessario fallimento. Come scrive Francesco [Ruggeri] in questo libro [Takeshi Kitano, della morte, nell’amore, Edizioni Sentieri selvaggi, 2005] che viene da leggersi tutto d’un fiato, “Kitano non racconta mai la storia di vincitori, ma quella di uomini che hanno perso la loro partita prima ancora di cominciarla.” Kitano è autodidatta, fuori da ogni meccanismo “accademico”, è “l’ospite iconoclasta” di ogni luogo da lui frequentato. Il “corpo estraneo” per eccellenza, che “frequenta e sperimenta tutte le possibili forme d’arte”. Eccoci, noi di Sentieri, di fronte ad uno specchio che ci racconta.”
Scrive così il Direttore Federico Chiacchiari nella prefazione al libro scritto da Francesco Ruggeri, dedicato a Takeshi Kitano. Parole che indicano un possibile rispecchiamento tra il cinema del regista giapponese e la natura di una rivista che con l’ingresso nel web porta, per certi versi, a compimento le ambizioni materiche e concettuali che già avevano permeato i suoi precedenti formati.
La prima schermata on-line di www.sentieriselvaggi.it di cui la rete abbia memoria risale addirittura a luglio 1998: è poco più di una paginetta di spot per la rivista mensile su carta. C’è la possibilità di abbonarsi, di dare una sbirciata al quarto numero in edicola, direcuperare le tre uscite precedenti. Subito, saltano agli occhi le attenzioni preponderanti per due aspetti che poi faranno la forza proprio della rivista on-line, “ufficialmente” varata nel febbraio 2000. Da una parte, l’attenzione ai Festival: si possono cliccare gli approfondimenti su Massenzio e Cannes, edizioni 1998. Dall’altra, spiccano subito tra i registi trattati i nomi di Tsai Ming Liang e Hou Hsiao Hsien. Ecco che l’interesse pioneristico di Sentieri selvaggi per le cinematografie asiatiche – forte delle competenze in materia di Massimo Causo, Simone Emiliani, Giuseppe Gariazzo, Daniele Dottorini – può  trasformarsi in uno strumento utilissimo per seguire l’evoluzione della rivista on-line, se è vero che un progetto ad essa correlato, la Casa Editrice di Sentieri selvaggi, debutta – come abbiamo già ricordato – proprio con il volume su Kitano di Francesco Ruggeri. Com’è altrettanto vero che all’edizione della Mostra di Venezia 2007, tutti gli estratti video di interviste tenute dai redattori al Lido, puntualmente pubblicati sul sito, hanno come interlocutori quasi esclusivamente registi asiatici, da Takashi Miike a Jia Zhang-Ke, da Jiang Wen a Johnnie To. Un’evoluzione costante che, pur avendo come base l’attenzione già rivolta ad Est nei numeri del cartaceo, dunque va di pari passo con la crescita esponenziale delle possibilità espressive
offerte dalla rete, visto che siamo partiti con un libro, e siamo giunti a dei video tranquillamente visionabili tra le pagine del sito. L’intervista rintracciabile nel sito a Venezia 2001 di Chiacchiari e Causo al Kim Ki-Duk di Address Unknown (una delle prime realizzate in Italia al grande autore sudcoreano) oggi sarebbe un “video del giorno”, come i frammenti filmati dall’ultima kermesse veneziana di Johnnie To che ruba la videocamerina dei redattori e si mette a riprendere, regalando una sequenza esclusiva a Sentieri selvaggi, o di Zhang-Ke che indica col dito all’operatore ‘selvaggio’ l’arcobaleno appena apparso nel cielo rischiaratosi dalla pioggia. Scriveva Massimo Causo proprio su Ki-Duk, ai tempi di Bad Guy, prima che buona parte della critica italiana si accorgesse del regista:
Bad Guy (Na-Bbun-Nam-Ja), nuovo straordinario film del “cattivo ragazzo” coreano Kim Ki-Duk, al momento il suo capolavoro ci sembra, altro film di fantasmi che tagliano la vita, per l’appunto, altro film di irrealtà che svelano ai viventi la verità dei sentimenti, la forza degli eventi, il potere delle emozioni, il valore degli atti… Il regista di “Seom” (L’isola) e “Address Unknown” (visti rispettivamente a Venezia 2000 e 2001, dove hanno lasciato il segno) non smentisce il suo cinema
fatto di atti assoluti ma anche astratti, di gesti fuori schema che fendono lo sguardo e la sensibilitä come pennellate sulla tela dello schermo. Il suo cinema appartiene alla categoria del “necessario”, è una questione di densità delle passioni, di esposizione del suo sguardo al sangue grumito sulle ferite dell’anima… Kim Ki-Duk trasuda d’immagini che vanno troppo a fondo, non conosce pace, anche se staziona immoto come l’acqua stagnante: ogni suo film ha un ritmo diverso, concentrico e implosivo “Seom”, rabbioso e disperato “Address Unknown”, malinconico e terminale questo “Bad Guy” ( M. CAUSO, 52.ma BERLINALE: Kim Ki-Duk: la traccia dei fantasmi)

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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E oggi, Sentieri selvaggi on-line resta uno dei pochi (o ultimi) baluardi in difesa del cinema dell’hong-konghese Johnnie To, maestro dell’astrazione partito dall’heroic bloodshed a cui nessuno pare interessarsi ormai più. Ne è conferma dell’amore per questo cinema Daniele Dottorini, che su Mad Detective di To e Wai-Ka-Fai, film trascurato da gran parte degli addetti ai lavori a Venezia 64, parla di “un’elegia di un cinema che è visionario senza esserlo in apparenza,
che mostra gli scarti e gli elementi non assimilabili in una logica (quella del detective movie) che ha come scopo quello di chiudere il cerchio. E il cerchio non si chiude” (D. DOTTORINI, VENEZIA 64, Mad Detective (Concorso) )


Dalla spartana paginetta del 1998 si è passati al portale di oggi (2008 ndr.), grazie al progressivo miglioramento del ‘motore’ su cui si poggia il sito: la piattaforma A4web sviluppata dalla Gedi Group srl di Federico Baleani e Marco Sacco (un sistema che permette ai redattori di inserire direttamente l’articolo nella struttura on-line, senza la mediazione ‘tecnica’ di addetti intermediari). Sentieri selvaggi, “quotidiano di cinema on-line”, offre così all’internauta, a partire dall’estate del 2001, una serie di servizi interattivi che vanno dalle news sempre aggiornate, alla già citata rubrica “Il video del giorno” che ‘saccheggia’ dalle profondità della rete video, cortometraggi, trailer e spezzoni di film che meritano attenzione – e in cui, di nuovo, non è difficile capitare al cospetto di realizzazioni dall’Asia, dal teaser del prossimo film di Stephen Chiau alla vecchia riscoperta del finale di Go, go second time virgin di Wakamatsu… Insieme a CinemAsia/Ombre Elettriche, e a Sol Levante (Zona manga/anime), sono più che attive tra le pagine della rivista la zona di CinemAfrica e gli osservatori sul cinema nascosto, italiano ed europeo, di Viaggio in Italia e nordsudovestest, a cura dei ‘resistenti’ Massimo Causo e Giuseppe Gariazzo. Tutte aree che vanno a riprendere la struttura del cartaceo del 1998, a conferma dello stretto legame che unisce le diverse versioni della rivista. Restano poi tutte le parole delle recensioni dei film in sala, dei dvd in uscita, dei film che passano in tv, dei libri di cinema freschi di stampa, degli approfondimenti, degli ‘sconfinamenti’, delle corrispondenze, che da sempre sono la forza dell’offerta ‘selvaggia’, affidati ad un numero sempre più allargato di collaboratori, spesso rimpolpato nelle fila da innesti degli allievi più validi dell’annuale corso di Critica della Scuola di Cinema di Sentieri Selvaggi. Gli ‘Speciali’ affrontati dalla nuova generazione “selvaggia” dei primi, stoici anni della rivista online – Leonardo Lardieri, Michele Moccia, Guglielmo Siniscalchi, Francesco Ruggeri, Fulvio Baglivi, Tonino De Pace, Daniele Dottorini, Umberto Martino, Paolo Tenca, con l’importanza fondamentale di Simone Emiliani assurto al rango di vicedirettore –, sono delle vere e proprie ‘battaglie’ critiche che di volta in volta scardinano le certezze conclamate su Federico Fellini come ‘monumento nazionale’ della nostra cinematografia, si interrogano su Lo straordinario mondo di Amelie di Jeunet, analizzano film epocali come Million Dollar Baby di Clint Eastwood, Cinderella Man di Ron Howard, e The New World di Terry Malick. Ecco Simone Emiliani sul pluripremiato film di Eastwood:
Disincantato, malinconico, straziante e sognante, un cinema così denso da lasciare sempre più storditi. Non solo un film sulla boxe, ma un intimo rapporto padri-figli, con frammenti dal cinema noir classico e lampi da road-movie, in cui la morte diventa l’estremo, ultimo atto d’amore. Forse l’immensa grandezza del film di Eastwood sta anche in quell’eroismo nascosto, che rende le figure mitiche oltre la propria morte, proprio come gli dei dell’antichità. Oltre il viale del tramonto delle sue figure Million Dollar Baby, che non accumula il tragico come in Mystic River ma lo lascia esplodere improvvisamente con un colpo dato alle spalle durante l’incontro di boxe decisivo. Ma non è un risveglio ma un segnale di un cinema sognante che continuerà a sognare fuori le inquadrature, un sogno vero non artefatto e ricostruito come The Aviator, un sogno che si prolunga per sempre fuori la vita, in un altro mondo dove tutto è possibile.”  ( S. EMILIANI, La redenzione negata
Ed eccolo mai così sincero e disarmato, Emiliani, nello speciale forse più personale per lui ed altri storici redattori della rivista on-line quali Paolo Tenca e Umberto Martino, quello sui 25 anni de Il tempo delle mele di Pinoteau, speciale che conferma la passione viscerale (spesso profondamente autobiografica) con cui Sentieri affronta i film del presente e del passato:
Stavolta si vuole in qualche modo recuperare una nostra memoria, cinematografica e personale insieme, mostrando come un film apparentemente spensierato, in realtà potentissimo melodramma adolescenziale, ha attraversato in forme differenti la vita di ognuno di noi. Il titolo originale, La boum, forse dava più l’idea dell’impatto che questa pellicola ha avuto. Come uno scoppio improvviso, un risveglio, un sogno accecante. Ed in effetti, più di un’analisi critica che oggi può apparire più fuorviante che inutile, è forse meglio soffermarsi sui residui che un film del genere ha lasciato su molti di noi, di differenti generazioni, dentro “Sentieri Selvaggi”. Innanzitutto, chi ha visto Notte prima degli esami di Brizzi può essere portato a rintracciare ne Il tempo delle mele come una specie di modello soprattutto nel potente istinto di mettere in gioco direttamente le emozioni. Le feste, i genitori apprensivi e permissivi, l’abbigliamento che rappresenta uno dei segni essenziali di quel decennio, quei colori troppo pesanti e soprattutto la colonna sonora che con/vive dentro ogni inquadratura ritrasportando verso orizzonti vicini/lontani nel tempo. Lì c’era un motivo dominante, Reality di Richard Sanderson. Dal film di Pinoteau ritrasportato nelle nostre esistenze di adolescenti (all’epoca dodicenni) alle prese con le nostre iniziali pulsioni sentimentali/sessuali/passionali. Ricordo che vidi quel film sei volte. Il tempo delle mele non era solo un film, era quasi un modello. Il tempo delle mele è stato uno dei film più forti della mia adolescenza. L’ho rivisto per caso tre anni fa, quindi con una certa distanza, ed è anche un grandissimo film capace di rimettere in circolazione le forme di quel passato ed è  uno dei manifesti più potenti degli Anni ‘80  (da SPECIALE – “IL TEMPO DELLE  MELE” – Nostalgia canaglia).
Col passare del tempo, e con la crescita della consapevolezza ‘multimediale’ dello spazio di Sentieri selvaggi, questi approfondimenti lasciano il posto ad uno speciale atipico raccontato in prospettiva tutta interattiva (ogni articolo è scritto dal punto di vista di un personaggio del film) di un blockbuster digitale come lo Spiderman III di Sam Raimi, e ad una retrospettiva critica di tutta la filmografia di Dario Argento, in occasione dell’uscita de La terza madre, in cui ogni recensione viene arricchita da tutta una serie di frammenti video argentiani e da sterminate gallerie fotografiche. In occasione dei Mondiali di calcio di Germania 2006, si arriva addirittura ad organizzare uno ‘Speciale’ volto a commentare l’andamento della manifestazione sportiva di giorno in giorno, secondo uno sguardo prettamente cinematografico, “come fosse un Festival.” È una delle intuizioni più felici di Chiacchiari e la sua redazione. Un’intuizione che trasmette perfettamente una delle caratteristiche storiche antiaccademiche di Sentieri: parlare di cinema con-fondendo temi e influenze.

Eloquente in questo senso Michele Moccia, nell’articolo Merry-Go-Round del 13 giugno 2006:

Lo sguardo osserva e scruta, cercando di penetrare i corpi nel loro essere a distanza; accarezzandoli senza toccarli, circondandoli senza abbracciarli, misurandone la lontananza in un sentire che si fa pensiero e che attraverso di esso aspira a dare loro consistenza e presenza. Da un lato i fermenti, i presentimenti, le vaghe impressioni e le ombre vane trasportate dal cinema (o dal calcio, come capita in questi giorni), dall’altro il tentativo di determinare il proprio sentire; o ancora, da un lato il bisogno di aderire alla vita lasciando che il movimento degli occhi si dispieghi, s’irradi da un sé per aprirsi a quel mondo fatto della stessa “stoffa” del corpo, desiderosi, come si è, di afferrarne la fisicità, dall’altro il tentativo di semplificare la visione, nello sforzo di risolverne il risvolto, per far sì che tutto diventi semplice, sim-plex, appunto senza piega. (…)Dopotutto le parole, siano esse dette o scritte, quasi rivelano l’impossibilità di poter fissare una volta per tutte l’inesausta, inesaudita apprensione delle emozioni il loro sfinente, infinito gioco d’amore.
Ecco perché vorremmo che questi pensieri sul calcio fossero un “Merry-Go-Round”
di rivettiana memoria, qualcosa di intricato a partire da uno spunto semplice ed efficace; pensieri immersi in un gioco fatto di complicità, distrazioni, affinità, contrasti e incertezze “anche a rischio di scorgere, al termine del viaggio, che forse si è girato in tondo”.

È chiaro quanto la rivista online vada ponendosi come luogo privilegiato dove sperimentare e testare sulla propria ‘carne virtuale’ i profondi mutamenti e le continue evoluzioni della realtà digitale ed informatica dell’immagine – un percorso mai domo che giungerà secondo le intenzioni dell’imminente restyling del sito ad una home page equamente divisa tra contributi scritti e materiali dell’immagine e dell’immaginario (video, gallerie fotografiche, servizi interattivi di community quali forum e possibilità di commentare gli articoli). È una stagione mutevole che sta attraversando, e profondamente modificando, l’intero apparato degli operatori culturali dell’immagine, che ha sostanzialmente alterato la forma e la natura di ‘luoghi del cinema’ come le manifestazioni festivaliere. E proprio dai Festival,
Sentieri selvaggi commenta, osserva e partecipa a questo dibattito lasciando segni importanti. Vedremo come.

Per farlo però effettuiamo l’ennesimo salto all’indietro, a cui ormai ci siamo abituati, per continuare a raccontare questa storia. È il primo aprile del 2004. L’Home Page di Sentieri selvaggi è completamente vuota, tranne che per un fotogramma dal recente Big Fish di Tim Burton, film che la redazione ha adorato, e… per un editoriale di Federico Chiacchiari, che inizia così:

Il cinema è pesce, raccontava tempo fa Enrico Ghezzi in uno dei suoi magnifici deliri critici nelle notti di Fuori orario, mentre mostrava i filmati di Cameron del “vero” Titanic, in attesa di un film di De Robertis. E se il cinema è pesce, Sentieri Selvaggi non può essere da meno. Mutante per sua natura, sperduta nel buio delle acque delle visioni, negli ultimi anni ci siamo dati una veste “seria”, come se l’anima nera e ribelle che ci caratterizza da sempre avesse, per un attimo, messo il vestito buono per la festa. E da tre anni vi “regaliamo” ogni giorno, più volte al giorno, notizie, curiosità, critiche, riflessioni, e tutto quello che il nostro gruppo riesce a creare/realizzare tra le circa 100 sezioni che ormai caratterizzano la nostra rivista. Eppure oggi, 1 aprile 2004, Sentieri selvaggi è “vuota”. Niente articoli in home page, niente news. Solo un’immagine, qualche inserzionista, e il lungo menù. Ebbene: questa sarebbe Sentieri selvaggi, oggi, per quel 70,4% di lettori che, al nostro sondaggio, hanno risposto che “Internet è gratis”. Un plebiscito, anche nelle mail che ci avete mandato, di cui alcune sono anche state pubblicate. Internet è gratis e Sentieri selvaggi pure. Così sentenzia il lettore di fronte alla “minaccia” del passaggio “a pagamento” a partire da oggi.  Strana storia questa dell’ideologia del “tutto gratis”. Un’ideologia che sta massacrando l’industria discografica (e coloro che ci lavorano) e che presto massacrerà quella cinematografica (e coloro che ci lavorano). E tutto il mondo dei lavori intellettuali, che oggi, su Internet ma non solo, diventano sempre più “necessari” e sempre meno “pagati”. C’è un’intera generazione di giovani di oggi che aspira a fare lavori intellettuali e creativi, ma che allo stesso tempo reclama che il grande giocattolo dell’informazione e dei servizi nella rete resti “libero”, disponibile per sempre senza pagare nulla. È che l’idea rivoluzionaria di una cultura e di un’informazione “gratis per tutti”, in realtà si trasforma in qualcosa di estremamente elitario. Solo chi ha i mezzi economici (e/o politici) può sostenere una testata giornalistica o una casa editrice. Insomma, se non siete ricchi di famiglia la libertà di stampa e di cultura non è accessibile… Ed ecco che il mondo, che pure sta andando sempre più verso un libero scambio di servizi e prestazioni che “divengono merci”, improvvisamente sembra chiudersi in un cortocircuito del senso. La libertà di avere dei servizi gratuiti diviene una mera illusione, una falsa coscienza della
realtà. Oggi, purtroppo, non c’è più nulla di gratuito, e persino la sfera delle comunicazioni personali sembra incanalarsi dentro la logica delle merci”. (F.CHIACCHIARI Benvenuti nel regno del “tutto gratis”…)

Questo sfogo di Federico Chiacchiari – articolato in realtà in una riflessione molto più profonda sui cambiamenti delle ‘professioni’ di chi si occupa delle merci dell’immaginario e che nei quattro anni che sono passati da quando è stata pubblicata come unico articolo in home page della rivista non ha perso assolutamente di urgenza – arriva dopo un sondaggio che per qualche tempo aveva campeggiato in un angolo della pagina iniziale di www.sentieriselvaggi.it. Il sondaggio chiede ai lettori se acconsentirebbero ad una versione ‘a pagamento’ (si tratta di uno-due euro al mese) della rivista online, e pone tra le risposte possibili da selezionare la frase “Internet è gratis”, che si rivela essere la più
inondata di consensi – un responso che lo stesso Chiacchiari si aspetta, essenza di una nuova provocazione che lascia intendere un cambiamento epocale. Da qui la risposta ‘a muso duro’ del Pesce d’Aprile dell’home page completamente mancante di recensioni, news e articoli, tolto un fotogramma subacqueo da Big Fish di Tim Burton e questo editoriale ancora ‘combattente’, per niente domo e rassegnato a restarsene al suo posto “nel profondo del mare della rete”. Perché quello che quest’ennesima operazione quasi ‘situazionista’ di Sentieri selvaggi anticipa, e già – neanche tanto inconsapevolmente – combatte, é la grossa trasformazione, l’impensabile mutazione, di tutta quella società della comunicazione che nel giro di pochi anni finisce con il coinvolgere in modo sempre più ambiguo ed esplicito anche il sistema dei festival cinematografici italiani.
Sia l’avvento della veltroniana Festa del Cinema di Roma, che il ‘discusso’ passaggio di direzione del glorioso Torino Film Festival dalla gestione D’Agnolo Vallan/Turigliatto alla formula-Moretti, stanno a indicare pesanti mutamenti nella gestione della cultura italiana, cinematografica e non solo.

La rivista online non si tira indietro, ma anzi si getta in prima linea nel raccontare questi sconvolgimenti nella terra sin troppo placida delle consuetudini festivaliere nostrane. La già pregnante sezione “Speciale FESTIVAL DI CINEMA” nei primi mesi del 2007 inizia ad arricchirsi di giorno in giorno di punti di vista differenti, interviste, interventi, editoriali, approfondimenti. Per un po’, le pagine web di Sentieri selvaggi diventano il ‘ring’ dove si combatte l’aspra battaglia per chi ‘abbia ragione’ nella diatriba scoppiata intorno al caso-Torino: i due picchi della contesa sono un’intervista, molto chiacchierata e più volte citata, rilasciata da Steve Della Casa della Torino Film Commission a Federico Chiacchiari “Nell’occhio del ciclone”, e la decisione del prestigioso dimissionario della vecchia gestione del Festival Gianni Rondolino di Torino Cinema Giovani di affidare proprio alle pagine di Sentieri selvaggi un suo lunghissimo e dettagliatissimo memoriale sul reale svolgimento dei fatti dal suo punto di vista. In mezzo alla polemica, piovono così le opinioni e le sensazioni di amici e collaboratori: da Rinaldo Censi a Robero Silvestri, da Oscar Cosulich a Mario Sesti, e poi ancora Giulia D’Agnolo Vallan, Roberto Turigliatto e ovviamente il Direttore Chiacchiari.

Il cambio improvviso nella direzione del Torino Film Festival avviene storicamente subito dopo la prima edizione del Festival di Roma, sostanzialmente opposta ed estranea all’idea ‘romantica’ di Festival. Chi più di tutti gli altri all’interno della redazione di Sentieri selvaggi
si è occupato in maniera costante ed analitica di seguire e tentare di comprendere i mutamenti anche clamorosi all’interno di questa struttura festivaliera, clamorosamente messa in crisi da una concezione di evento come quella – tutta veltroniana appunto – della
Festa del Cinema di Roma, è stato Leonardo Lardieri, ineffabile caporedattore proprio della sezione dedicata ai ‘Festival’ della rivista. La prima edizione “rinnovata” del Torino Film Festival si è appena conclusa. Sentieri selvaggi, e la penna di Leonardo Lardieri, riescono a raccontare tutta l’amarezza generalizzata che si respira tra critici e corrispondenti, con quelle punte di sconforto determinate forse dall’attesa esagerata dell’edizione 2007 della kermesse torinese:

Qualcosa sta accadendo al cinema, o meglio, per il cinema, o meglio ancora (forse), contro il cinema. Torino è ritornata allora, per un attimo, capitale dei pugni in tasca, di un’immaginaria rivolta impossibile. Immaginaria come la scossa tellurica che ha cambiato la disposizione a tavola, prima che i commensali prendessero posto. Immaginaria come quella fossa comune dell’indifferenza, scavata tra gli squarci della terra che circonda la “casa del cinema”. È stato un anno (turbo)lento di cambiamenti e passaggi di consegna non certamente indolori. Avremmo però preferito un’opera incompiuta, anacronistica magari, imperfetta, frammentata, composta di tratti folgoranti, di razzi illuminanti: in realtà, tutto sembra invece non avere l’inclinazione della fuga, dell’errore come metodo
compositivo. Tutto è allora perfettamente in linea e assuefatto al culto del potere: i
festival sono diventati degli organi paramilitari, non più fatti per diffondere la libertà di testa che può dare il cinema, ma per combattersi tra di loro (o far finta di combattersi) sul piano della concorrenza politica, sempre più annacquata. Dunque anche quest’anno sono passate, come gli scorsi anni, quelle cose caotiche (spesso vuote) e capricciose che chiamiamo festival. Festival come vacanze: faccenda in superficie ormai quieta, borghese, stanziale. Si tratta di cambiare aria, di fare castelli in aria e di ignorare tutte i movimenti sotterranei che si susseguono per la nostra tranquillità di spettatori, cinefili, critici. Ma insomma, che cosa sono, oggi i festival? Stanno diventando una faccenda triste, anonima, caratterizzata in alcuni casi da cibo infimo, alloggi di fortuna, scadenti e carissimi. Come le nostre vacanze in Italia. Le vacanze al festival rischiano di diventare ulteriore segno del nostro malessere, ormai: scappiamo, ci mimetizziamo, facciamo confusione con titoli e
registi, con l’orario della sveglia per un’anteprima nazionale, già anteprima altrove. Siamo certi di non ritornare dai festival più avviliti, intossicati e depressi che ritemprati? Si va ai festival un po’ più infelici che in passato, ci si arma di programmi ispirati più dal rancore che dalla letizia. Ai Festival si va anche per fuggire dal grande supermercato di tutti i giorni, ma pare sempre più di finire in un altro grande supermercato che vende la libertà dai supermercati.” (L. LARDIERI, Vacanze al cinema) 

Parole e considerazioni che acquistano peso soprattutto se messe in relazione con la perplessità che la stessa Festa del Cinema romana, situata cronologicamente in mezzo al festival di Venezia e quello di Torino, suscita per tutto il suo apparato mediatico e qualitativo. Così si chiude la serie di corrispondenze di Sentieri selvaggi nell’edizione
2006 della Festa del cinema. Un epilogo provocatorio e illuminante, che agisce sul presente dell’immaginario giornalistico e televisivo, più che filmico:

Vorremmo far parlare ancora una volta (e forse per sempre) le immagini, come davanti a degli specchi che questa volta (e da sempre) confondono la destra e la sinistra e non l’alto e il basso. Perché parlare di alto e basso, di qualità, questa volta ci interessa poco, ci interessa ancor meno entrare nei dettagli di un evento, dalle dimensioni “faraoniche”, costruito ad arte e quasi esclusivamente per autopromuovere le major. Allora attraversando i corridoi dell’auditorium, sospirando per un indicatore di direzione che non arriva mai, a Roma ti perdi in un “tutto” dalle dimensioni “extra”, cercando le sale disperse nel traffico, cercando “Alice nella città” o il “concorso” di colpe. A Roma si sorvola non potendo scavare, si aggira non potendo disboscare e tutto sembra più distante e di troppo:
quindi, a mancare, secondo gli architetti del visibile, è il popolo, da divertire ed educare. I problemi vanno oltre i numeri: ogni festa o festival è un problema, ma non è sempre la loro durata o il loro successo. Come la morte è un problema, ma non è il cimitero. Allora nei corridoi dell’obitorium, vedi gente dello stesso colore che apparentemente sembra festeggiare, ma in realtà cerca l’uscita da tutte le parti e senti il riverbero di due anime (con)dannate: quella della Festa e quella del Festival. Quest’ultima chiede di essere “riposta” lontana, magari a Venezia, Torino, Cannes: la casta è casta e va, sì rispettata. L’altra anima, vile carogna senza blasone, vorrebbe restare dov’è, con la morte che torna insieme con la vita: “Il cinema sai cos’è?… è una livella… Ioseliani, Tsukamoto, Scorsese,
attraversando questo cancello hanno messo il punto che hanno perso tutto, il genio e pure il nome…”. (“Il cinema sai cos’è?… è una livella.”, Leonardo Lardieri).

Ci piace andare avanti e indietro nel tempo, nei mesi e negli anni, nel parlare della rivista on-line. In parte è come se avessimo voluto riferire di www.sentieriselvaggi.it più attraverso il click interattivo che attraverso la scrittura del racconto classico. Ed è forse solo in questa sua nuova (e immaginiamo definitiva) forma che Sentieri selvaggi è
riuscita a raggiungere la propria identità perfetta, la sua sola necessarietà astratta.
Eppure la rivista on-line non è un corpus a sé. L’idea, quasi parallela a inizio 2000, di provare a immergersi nel campo della didattica, nel corso degli anni si rivela infatti complementare e irrinunciabile per la popolarità del marchio Sentieri selvaggi e la sua resistenza al tempo.

 

 

Archivio #9 dal volume  UNA PASSIONE SELVAGGIA – 20 anni di storie (e vite) di Sentieri selvaggi, di Carlo Valeri e Sergio Sozzo 

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