SERIE TV – Gotham, di Bruno Heller

Tra crime-drama e tensione disperata verso il fumetto, Gotham è una serie popolata da una costellazione di personaggi noti ma non ancora riconoscibili, incastrati in un vagare senza meta.

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Raccontare la città prima del personaggio. Parlando di un’icona come Batman, l’impresa non sembra così assurda se si parte dal presupposto che l’uomo pipistrello post-Frank Miller è un supereroe che vive nella totale dipendenza dal contesto. È un rapporto di influenza reciproca dove si perdono i nessi di causa-effetto: è la violenza a generare un giustiziere? E’ la figura di Batman a legittimare la nascita dei supercriminali? Poco importa, il cavaliere oscuro è Gotham, vive in ogni suo vicolo, permea la sua atmosfera. Non è un caso che la storia che ha posto le fondamenta per il Batman contemporaneo (si parla comunque di una figura che dal suo esordio nel 1939 sulle pagine di detective comics ha subito numerose rivisitazioni), L’Anno Uno di Frank Miller, sia narrata attraverso gli occhi di Jim Gordon, poliziotto appena trasferito alla centrale di Gotham. Da qui l’idea per la serie televisiva di Bruno Heller: raccontare la città nei suo giorni pre-Batman, dal punto di vista di Gordon. Il suo incontro/scontro con la criminalità organizzata di Gotham e con la corruzione dilagante delle forze dell’ordine, la dura vita di un uomo solo contro una città intera.

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Gotham - jim Gordon e PinguinoLa serie inizia con l’evento trauma che mette in moto la trasformazione di Bruce Wayne, l’assassinio dei suoi genitori, indice di una metropoli ancora a dimensione umana ma sull’orlo della crisi. Le potenzialità ci sono tutte: il racconto delle origini, un vasto cast di personaggi utilizzabili, la totale sconnessione dall’universo narrativo DC che non impone forzature di continuity. C’è un problema di fondo però, Bruce Wayne non può ancora diventare Batman, bisognerà aspettare il passaggio all’età adulta. Tragicamente, quello di Gotham è un gap incolmabile. Se uno Smallville poteva raccontare un Clark Kent teenager, (super)uomo in divenire, Batman non subisce alcun processo di maturazione interna, dietro la maschera del Cavaliere Oscuro si cela ancora il Bruce Wayne di otto anni bloccato per sempre di fronte ad una perdita di una violenza inaudita.

L’intento è quindi quello di dare forma a qualcosa di non ancora raccontato del mito batmaniano, proprio perché inessenziale. Già dai primi episodi di questa stagione di esordio, le avventure di Jim Gordon si configurano come un pericolosissimo (quanto noioso e a tratti confusionario) perdere tempo. Per quanto sia divertente scoprire le iniziali citazioni che vedono ritrarre i celebri volti del fumetto mostrare solo in potenza il loro ruolo nell’universo di Batman, ci si rende ben presto conto che sono sterili strizzatine d’occhio e nulla di più. Non può accadere nulla, è ancora troppo presto: si può intravedere la pazzia del Joker (rischiando di snaturare il personaggio) anticipando la sua caotica amoralità, ma è troppo presto perché l’individuo diventi il celebre clown. Stesso discorso per lo Spaventapasseri, Catwoman, Poison Ivy, e il Pinguino: senza il pipistrello la rogues gallery rimane vuota.

Gotham CastIl Pinguino (nell’ottima interpretazione di Robin Taylor) è il simbolo della perenne tensione irrisolta presente in questa prima stagione di Gotham, incapace di trovare un terreno stabile nell’ansia di dover approdare al riferimento fumettistico. C’è veramente possibilità di tenere traccia dei movimenti del Pinguino nella sua assurda scalata al potere di Gotham? La risposta è no: tra il pilot e il season finale gli eventi si susseguono con una pretesa narrativa ma senza un minimo di reale movimento. All’ennesimo tradimento, rovesciamento di potere in un rapporto di fiducia che vede sempre gli stessi tre elementi, è facile realizzare che il doppio gioco del Pinguino non ha alcun senso. Dalla partenza si potrebbe passare direttamente all’arrivo lasciando al non detto una serie di derive inconcludenti come l’avventura horror di Fish Mooney (Jada Pinkett Smith) o il capitolo “50 sfumature di grigio” dell’Orco (Milo Ventimiglia).

E in questo gioco poco riuscito di rimandi a volti noti nella speranza che la serialità propria del medium-fumetto legittimi un’esasperante mancanza di finalità televisiva, non si riesce a staccare lo sguardo dal protagonista Jim Gordon, inarrivabile agente modello, ultimo baluardo di eticità in un sistema corrotto fino al midollo. Il detective è un personaggio così estremizzato da sembrare troppo anche per un fumetto. Ed il volto di Benjamin McKenzie, così spaesato e fuori luogo, è l’unica faccia a farci sentire un po’ a casa, a due passi dall’Orange County. Gotham… here we come.

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