Sette minuti dopo la mezzanotte, di J. A. Bayona

Bayona ci dice di restare, assorbire la verità altrui e infine sciogliere le catene di quel cancro mostruoso che, inascoltato, provoca la scissione di ogni legame possibile con la “prima figura”

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È difficile stabilire il grado di consapevolezza nel film di J. A. Bayona. Un tema, quello più accecante, come il bagliore che Conor vede nel racconto della prima storia, che sovrasta e si impone sull’etichetta di “terzo capitolo della trilogia della madre”. È vero: Sette minuti dopo la mezzanotte (A monster calls) dovrebbe incastrarsi come terzo diamante di una corona, il centrale. Ma forse è proprio qui che avviene la liberazione del regista dal suo rapporto turbolento con la “prima figura”, e la resa dei conti con un fardello terroristico che attanaglia chiunque, a dirla tutta. Conor è un ragazzino di dodici anni costretto a digerire la malattia della madre che ogni giorno peggiora. Sua nonna è rigida, suo padre assente e i bulli della scuola violenti. Alle 00.07 un mostro dalle sembianze di albero di tasso gli fa visita. Il suo compito è narrargli tre storie, Dickens docet, ma una quarta solo e soltanto Conor potrà raccontarla.

In The Orphanage Bayona optava per una ricongiunzione madre-figlio ai confini della morte, un grido mai disperato che però cedeva al peso del genere e quindi del twist targato horror. In The Impossible la straordinaria veste di Naomi Watts riusciva in un’altrettanto straordinaria impresa, gloriandosi dell’apoteosi del dramma vecchio stile. Tutto ciò, oseremmo dire per fortuna, soccombe dinnanzi alla dimensione interna, e potentissima, di Conor. Da sola può costruire, distruggere, alimentare e disattivare il legame materno. Lui soffre per quell’abbraccio decadente, per quella malattia-mostro che si in8l89-d033-02188-r-maxw-654sidia in qualche modo anche nella sua carne.

Sembra che Bayona abbia realizzato che anche l’altro, quello nella coppia in apparenza trafitto dalla vulnerabilità, potesse scatenarsi, rompere (memorabile la scena della messa a soqquadro dell’appartamento di Sigourney Weaver) e quindi gettare le basi per il proprio romanzo di formazione. Tuttavia, si tratta di un libro a metà, una favola innestata di crudezza, una verità che non propende per nessun personaggio, ma per chi si arrischia a raccontare la propria. “Speak your truth” è la battuta slogan; tre parole che fanno eco anche ad un altro prodotto, Tredici, in questo caso seriale, che non pretende lo sciorinamento tipico del focus esterno, ma si limita alla parzialità, forse l’unico spiraglio di vero che nel cinema come nella vita ci è concesso. E allora come scappare dal mostro? L’archetipo dell’inganno e della menzogna. Bayona ci dice di restare, assorbire la verità altrui e infine sciogliere le catene di quel cancro, il nostro, che, inascoltato, provoca la scissione di ogni legame possibile. Anche e soprattutto con la sua-nostra amatissima madre.

Titolo originale: A monster calls
Regia: Juan Antonio Bayona
Interpreti: Sigourney Weaver, Felicity Jones. Lewis MacDougall, Liam Neeson, Toby Kebbell, James Melville, Geraldine Chaplin
Origine: USA, Spagna, 2016
Distribuzione: 01
Durata: 108′

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