Shark – Il primo squalo, di Jon Turteltaub

L’effetto speciale a cui affidare sorpresa o stupore non sono mai i bestioni in CGI ma le prodezze sovrumane e le gesta di estrema sopportazione fisica a cui Statham o The Rock vengono sottoposti

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Ad invertire la tendenza hollywoodiana di qualche decennio fa, che vedeva l’importazione di corpi e autori del cinema d’Oriente in terra statunitense con alterne fortune al seguito di Jackie Chan e John Woo, ci sono arrivati per primi, com’era ovvio, i divi combattenti dell’action operaia, Vin Diesel/Xander Cage, Dwayne Johnson, ora il sodale Jason Statham che nella stessa stagione di Skyscraper si tuffa alla conquista dell’oceanico mercato cinese.
Tanto che viene subito da chiedersi se il vero megalodonte, il maxi-squalo preistorico con cui il nostro eroe si batte stavolta, sia proprio la minacciosa statura assunta oramai dagli studios cinesi, o se lo sia invece per l’appunto Statham. Agilissimo fascio di muscoli dal grugno irresistibile, conferma quanto in questi prodotti, esattamente alla stregua del The Rock con cui fa a scazzottate nei Fast & Furious, il vero effetto speciale a cui affidare la sorpresa o lo stupore non siano alla fine i bestioni in CGI ma le prodezze sovrumane e le gesta di estrema sopportazione fisica a cui i protagonisti vengono sottoposti. Il transporter britannico, d’altronde, ha già avuto più volte a che fare con un addestratore con furore come Corey Yuen, in passato.

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Se è vero che le strategie high budget si sono una nuova volta riappropriate dei fermenti della parte “bassa” dell’industria (alla Asylum, come puntualmente notano in parecchi, da anni costruiscono canovacci su modalità che ora ritroviamo nei due Jurassic World, in questo The Meg o in Rampage…), il film dell’esperto Turteltaub non si dimostra poi tanto interessato alla legacy dei titoli sui pescioni assassini – pur mantenendo alcuni capisaldi del canone come un gustoso sterminio di massa a riva, e l’entrata in scena ritardata della creatura – quanto alla componente quasi sci-fi del romanzo di partenza, primo di una serie scritta da Steve Allen e in cantiere per diventare film già da fine anni ’90, tra mille disavventure e rimpalli produttivi.
Così Tom Stern (!) immerge tutta la prima sezione nel blu profondo delle esplorazioni subacquee sotto la fossa delle Marianne, come se il film fosse tutto un grande omaggio a James Cameron, oppure, a voler proprio cercare un link spielberghiano, una ripresa del Florida’s SeaWorld dove si svolge Lo squalo 3 di Joe Alves: le navicelle orbitano intorno alla base sottomarina dalle pareti trasparenti, in un avvolgente, indefinito fondale di neutralità. Siamo in Nuova Zelanda ma potremmo benissimo essere in un qualsiasi pianeta sommerso dall’acqua (prendi appunti, James Wan!), e l’equipaggio sotto i mari è multietnico come si conviene, lo spaccone inglese, la superstar cinese Li Bingbing, il rapper afroamericano, la spalla brillante di chiare origini maori. Siamo, insomma, più dalle parti di un David Twohy subacqueo (la cazzuta compagine femminile sembra davvero provenire da un Riddick), che della sfrenata carneficina alla Alexandre Aja.

Col progressivo venir meno dell’aspetto hi-tech, l’avventura si trasforma nella sfida titanica a cui sappiamo che Statham non potrà sottrarsi, armato di fiocina e poco altro in un crescendo quasi alla Herman Melville (con citazione pressoché letterale nello scontro finale…): la sensibilità cinese è però attentissima alle questioni ambientaliste, e il film pone fino alla fine grandissima attenzione all’equilibrio dei sacrifici e dei cicli vitali, con la Natura che in qualche maniera si occupa di far rientrare l’emergenza, almeno fino alla prossima estate.

 

Titolo originale: The Meg
Regia: Jon Turteltaub
Interpreti: Jason Statham, Bingbing Li, Ruby Rose, Jessica McNamee, Rainn Wilson, Cliff Curtis, Ólafur Darri Ólafsson, Masi Oka, Page Kennedy, Andrew Grainger
Origine: USA, 2018
Distribuzione: Warner
Durata: 113′

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