Sheffield DocFest 2022. Alfa e Omega

Nei due film di Amiel Courtin-Wilson e di Carola Fuentes e Rafael Valdeavellano si finisce agli antipodi, in mezzo alla lotta o sfiniti dal desiderio di lasciarsi andare

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Il principio e la fine. Vicini, a volte coincidenti. I film di Amiel Courtin-Wilson e di Carola Fuentes e Rafael Valdeavellano rovistano sui limiti, linee di partenza di un viaggio senza ritorno o verso una strada piena di incognite. La storia di Man on Earth è la storia di tanti malati. Bob ha il Parkinson, abita nello stato di Washington, ed ha deciso di morire. Il film segue una ad una le tappe verso la morte. C’è un modo giusto di congedarsi dal mondo? Come entrare in una dimensione metafisica mentre arriva la consapevolezza del distacco terreno? E come si può documentare il passaggio? Il regista registra gli avvenimenti degli ultimi giorni dell’uomo fino al trapasso ottenuto con il veleno, utile ad evitare l’agonia, eppure sempre agghiacciante. Le priorità quando il tempo stringe stanno nel congedo dalle cose importanti, gli abbracci delle persone care, figli, parenti, amici, scherzi e risate. Arrivano da lì le parole ed il pianto della separazione imminente, scambiandosi uno sguardo, strozzando un singhiozzo al telefono se la presenza risultasse intollerabile. Il tema critico gira intorno alla possibilità di ricorrere all’eutanasia assistita, diritto non certo universale, ancora esclusivo di una larga parte di paesi gravitanti in area cattolica. Il dato macroscopico del fenomeno comunque interessa poco, lo sguardo si posa sulla sfera intima, per rappresentare un ricordo nel momento in cui si sta creando. Mentre la memoria cerca di catalogare gli avvenimenti ed i pezzi divengono sfuocati e ti lasciano davanti alla porta dell’oblio. Il regista australiano, che già può vantare partecipazioni a Cannes ed a Venezia, resta fedele ad uno stile perfetto per suscitare polemiche ed umori contrastanti, riprendere l’arrivo della morte è sicuramente materia scottante.

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Breaking the brick nasce dal bisogno di varcare invece la strada verso l’ignoto. La storia prende inizio durante le rivolte avvenute in Cile nel 2019, per protestare contro l’iniquità del Paese e riscrivere una nuova costituzione, e l’incipit è qualcosa di già visto di recente al Festival di Cannes in Mi país imaginario di Patricio Guzmán, per poi cambiare ottica ed osservare oltre il collettivo, tra le cellule raggiunte dall’ondata di proteste. The Brick era il modello economico neoliberista adottato durante la dittatura di Pinochet ed utilizzato per quasi 50 anni, con risultati pessimi. L’ausilio di due protagonisti permette al film di veicolare gli spettatori: Ramiro è un uomo d’affari di successo, uno di quelli che il regime deve ringraziarlo, artefice insieme ad altri di quel famigerato modello economico, Mariana un’insegnante appassionata che lotta contro le ingiustizie e crede nei sogni. Lo sfondo dai tratti epocali, pieno di pulsioni incontrollate, incertezza, uno scenario nuovo ed inaspettato scoppiato per l’aumento del prezzo dei biglietti della metro, è la scintilla di un cambio di percorso anche nelle loro vite. Per Ramiro è giunto il tempo di aprire gli occhi ed osservare la povertà da cui è circondato e da cui si nasconde chiuso nella sua bella casa sul lago, dove osserva in TV le persone scese in piazza disposte a rischiare la vita. Mariana invece è lì a manifestare, non ha ricchezze da difendere, più che al passato è interessata a guardare il futuro. La loro contrapposizione convergente porta il racconto fino al referendum costituzionale, e riscontra come il cambiamento impetuoso avvenuto all’esterno, rifletta delle conseguenze su ogni abitante del Paese.

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