ShorTS International Film Festival 2018 – Nuove Impronte

La sezione Nuove Impronte dello ShorTS Film Festival di Trieste presenta in concorso due documentari: Happy Winter di Giovanni Totaro e Città Giardino di Marco Piccarreda

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Allo ShorTS International Film Festival 2018 in programma a Trieste fino al 7 Luglio una delle sezioni imperdibili è Nuove Impronte, dedicata ad autori emergenti del panorama cinematografico italiano. Due dei titoli in concorso, entrambi di genere documentaristico, sono Happy Winter di Giovanni Totaro e Città Giardino di Marco Piccarreda.

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Happy Winter di Giovanni Totaro riesce ad entrare nel profondo delle storie, senza aggirare l’aspetto ludico, anzi assecondandolo. Con il passare dei giorni tra i giochi ed i tramonti spensierati lungo la riva, mentre nascono amicizie ed un nuovo amore è pronto a sbocciare, viene fuori il ricordo amaro della realtà, quella realtà dalla quale è impossibile staccarsi. Vengono a galla i problemi, si studiano nuovi progetti per i futuro, si condividono le speranze ed i timori. La spiaggia di Mondello a Palermo ogni anno con l’arrivo dell’Estate viene invasa da cabine, costruite per ospitare i bagnanti, che dentro quelle strutture improvvisate passeranno la stagione. Ed in quel lasso di tempo che da Giugno si spinge fino a metà Settembre questo popolo cerca nei rituali della vacanza, le carte, il karaoke, la festa di Ferragosto, l’identità che negli anni della crisi è andata perduta. Un posto al sole equivale a ribadire l’appartenenza ad un gruppo sociale, e dalla sua conservazione l’idea di poterne fare ancora parte.

Nonostante l’esperienza palermitana sia abbastanza sui generis per i tratti tribali che la caratterizzano, questo villaggio estivo provvisorio rappresenta una metafora perfetta dell’Italia. L’estate presa come riferimento è quella del 2016 e la nazionale è impegnata agli Europei in Francia. La spiaggia siciliana, come le altre sparse dalla penisola, trabocca di tifosi che si raccolgono davanti ad uno schermo, più o meno improvvisato, per spingere la squadra verso una vittoria, che ha il sapore di un riscatto nazionale. Un sogno che resterà inesaudito. L’esclusione dal Mondiale di Russia due anni dopo suona da beffarda involontaria conferma di un ambiente destabilizzato fino alla fondamenta.

Sulle note di alcuni tormentoni ante litteram, lascito di anni in cui il paese godeva di una fortissima dose d’autostima e si sentiva giovane e pieno d’energia, si esibiscono adesso delle signore di mezza età schiave del rimpianto di una bellezza ormai fuggita via. E la paura e non più l’entusiasmo si fa spazio tra gli ombrelloni. Paura per la cronica mancanza di lavoro, paura per le inevitabili rinunce che seguiranno. Per una presunta invasione di immigrati, imminente. Tra le sdraio un uomo prepara la candidatura in appoggio di Salvini e sparge il suo verbo, che poi è il medesimo smarcamento dalle responsabilità sul passato e l’identica promessa destinata a restare inevasa, laddove solo pochi anni prima sarebbe stato impensabile. E senza avere granché di premonitorio, essendo ben nota la campagna capillare messa in moto dal vertice leghista, mostra sul campo come sia comparsa l’attuale diffusione epidemica, favorita attualmente dal clamore social-propagandistico che premia strilloni ed intolleranti di ogni risma, possa assumere anche un rassicurante volto etno-solidale. Resta il mare sullo sfondo, con il rumore delle onde e gli orizzonti sconfinati, e sopra i problemi sparge il suo potere terapeutico e sembra garantire comunque un avvenire.

L’immigrazione torna in un altro film in concorso nella sezione Nuove Impronte, Città Giardino di Marco Piccarreda, sempre ambientato in Sicilia. Girato in una struttura di prima accoglienza dismessa a Priolo Gargallo nel siracusano, dopo la frequenza per documentazione di un centro proprio a Siracusa, il film racconta del fenomeno dei minori non accompagnati che arrivano in Italia. E partendo da sei di loro che hanno vissuto quell’esperienza in prima persona, ricostruisce i giorni che seguono a quella collocazione temporanea, che ha tutte le sembianze di un limbo senza via d’uscita, nel quali si è destinati a rimanere di fatto per un tempo indefinito in attesa di una decisione dall’alto, un permesso, una destinazione rinviata di giorno in giorno.

L’atmosfera ricreata è agghiacciante. Gli ospiti sono condannati all’inattività per la cronica mancanza di mezzi e alternative. Passano giornate intere a dormire, mangiano cibi preconfezionati di aspetto inquietante. Pensano ad un modo per scappare. Tengono d’occhio il cellulare. È un inferno, nascosto nel torpore. Il senso d’abbandono priva questi ragazzi di ogni motivazione e li mette a contatto con un vuoto di prospettive che diventa vuoto interiore. Un’agonia di decompressione per dei ragazzi che fuggono magari dalla guerra o da qualche altro tipo di atrocità che in questa prigione d’indifferenza finiscono per essere depressi. Il senso di fastidio, la noia, l’insofferenza dei rifugiati verso la detenzione, che presto si trasforma in apatia, sono aspetti che vengono fuori dallo schermo in maniera dirompente in tutto il loro squallore. E trasforma il film in un vero e proprio atto politico. Fino a lasciare di sasso con l’ultima didascalia sui 15000 minori che spariscono in Italia solo considerando il fenomeno migratorio. Che è un dato su cui probabilmente bisognerebbe cominciare ad indagare.

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