ShorTS International Film Festival: la Masterclass di Barbara Ronchi

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Corso estivo di MONTAGGIO, dal 22 luglio

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In un dialogo con il Direttore Artistico Maurizio di Rienzo al teatro Miela di Trieste, l’attrice ha ripercorso i momenti fondamentali della propria carriera

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È stata una conversazione intensa quella che ha avuto luogo sabato 29 giugno al Teatro Miela di Trieste, in occasione della masterclass tenuta da Barbara Ronchi, premiata poi in serata con il riconoscimento di “Interprete del Presente” al ShorTS International Film Festival. Un’occasione preziosa per ripercorrere il suo percorso umano e professionale, tra cinema e teatro, tra scelte e scoperte.


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Nel dialogo con il direttore artistico Maurizio di Rienzo, Ronchi è partita dalle sue radici, da quella scelta di vita che ha segnato l’inizio di tutto: “Mi sono laureata in archeologia classica. È stata una scelta che ho amato, un percorso che ho voluto davvero, anche perché era quello che i miei genitori speravano per me — ma lo desideravo anch’io. Tuttavia, a un certo punto ho sentito che quel capitolo si era chiuso. Dentro di me c’era sempre stato un desiderio, fin da quando ero piccola: fare teatro. Lo facevo alle elementari, alle medie, alle superiori, persino all’università, dove partecipavo ai laboratori del centro. E così un giorno mi sono detta: ‘Proviamoci’. Non venendo da una famiglia che avesse contatti o tradizioni nel mondo teatrale o cinematografico, non sapevo nemmeno da dove iniziare. Non conoscevo neanche il Centro Sperimentale di Cinematografia, per dire. Ma scoprii che esisteva l’Accademia d’Arte Drammatica e decisi di tentare: feci le selezioni, e mi presero. È stato come fare un salto nel vuoto. Avevo fatto ciò che era giusto fare, avevo studiato, mi ero laureata, ma sentivo che era il momento di seguire quel sogno d’infanzia.”

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Dopo il salto, racconta, sono arrivati i primi incontri importanti. Uno in particolare, quello con Marco Bellocchio, ha segnato un passaggio fondamentale nel suo percorso: “L’incontro con Marco Bellocchio per Fai bei sogni è arrivato un po’ per caso. Una casting director mi aveva visto a teatro e mi chiese se fossi disponibile a fare un provino per lui. Ovviamente dissi subito di sì. Il provino consisteva nel cantare ‘Resta con me’ di Modugno, una canzone che però non conoscevo a memoria. La notte prima avevo letto il libro in velocità e decisi di portare invece ‘Sempre’ di Gabriella Ferri, una canzone che per me parlava alla donna che avrei dovuto interpretare. A Bellocchio piacque molto quella scelta, mi disse che era giusta, che raccontava davvero qualcosa del personaggio. Poi mi chiese comunque di imparare ‘Resta con me’ e tornare. E così feci. In tutto ho fatto credo dieci provini per quel ruolo. Era una parte importante, non protagonista, ma con un peso emotivo forte. Dopo molti tentativi, mi scelse.”

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Altro incontro cruciale, quello con Pierfrancesco Favino sul set di Padre Nostro: “Lavorare con Pierfrancesco Favino in Padre Nostro è stato meraviglioso. È un attore che alza il livello, sempre. Porta tutto a un’intensità altissima, sia di concentrazione che di verità. Per me è stato come andare a scuola, ho imparato tantissimo. Erano ancora anni di scoperta per me, e lui rimane un faro, un punto di riferimento. Non solo in Italia: credo sia uno dei più grandi attori in circolazione, anche a livello internazionale.”

Ma il vero punto di svolta arriva con Settembre, l’esordio alla regia di Giulia Steigerwalt: Settembre è stato un film importante, una vera svolta. Ho incontrato Giulia Steigerwalt, che è diventata un’amica, ma anche una specie di anima gemella artistica. Ho sentito subito che aveva il mio stesso gusto, che raccontava le storie nel modo in cui io avrei voluto raccontarle. C’è stata una sintonia immediata. Nessuno di noi si aspettava che il film avrebbe avuto quel successo. Vincere un David come attrice protagonista per un’opera prima è qualcosa di raro, e forse da lì si è accesa una luce su di me: molte persone hanno iniziato a considerarmi per ruoli da protagonista.”

Nel corso della masterclass, Ronchi ha poi parlato di Diva Futura, film diretto da Giulia Steigerwalt e uscito su Netflix, che ha trovato però poco spazio nel dibattito pubblico: “È stato un film un po’ ostracizzato, purtroppo. Nessuna trasmissione televisiva ha voluto promuoverlo. Eppure non è un film scandaloso. Non è un film porno. È un film che racconta un’epoca, l’idea di amore libero nata dal ’68, il sogno radicale, Pannella, Cicciolina in Parlamento… Un’epoca che era provocatoria, certo, ma anche idealista. E oggi, paradossalmente, viviamo l’altra faccia di quel sogno: PornHub, OnlyFans, ragazzi che imparano la sessualità dal porno e non riescono più a immaginare, a desiderare in modo libero. Questo è ciò che avrei voluto dire in una trasmissione, se ci avessero invitati. Ma c’è stato un rifiuto totale.”

Infine, si è parlato del suo recente lavoro con Bellocchio su Rapito, e della forza emotiva sprigionata dalla relazione con il piccolo protagonista: “Quello che mi ha colpito moltissimo, rivedendo oggi la scena di Rapito con Enea, il bambino che interpretava Edgardo Mortara, è che lì è successa una cosa davvero magica. Quando sei completamente sintonizzato emotivamente con una scena, accade qualcosa di speciale. Lui era davvero dentro quel momento, c’era una connessione fortissima. La scena finisce che me ne vado, lui inizialmente non vuole salutarmi, poi però torna e mi abbraccia con forza. Quel legame che si era creato tra noi era autentico, era nato qualcosa di profondamente vero, quasi inspiegabile. Per me,” ha inoltre affermato, “è stata un’esperienza fortissima anche sul piano umano. Per tutta la lavorazione del film, dieci ore al giorno, vivi come se tuo figlio ti fosse stato portato via. Naturalmente fuori dal set si scherzava e si rideva anche, ma dentro al set c’era un rigore, un rispetto profondo. Sapevamo di raccontare una ferita vera, di chi quel dolore lo aveva vissuto davvero.”

Un ultimo passaggio “obbligato” è stato quello su Familia, film dai toni cupi di Francesco Costabile: “In latino, ‘familia’ era il sistema familiare in cui il pater familias considerava tutti gli altri membri – mogli, figli, servi – come proprietà sua. Questo era il concetto che Francesco Costabile, il regista, voleva evocare. Ma qui andiamo anche oltre. La famiglia che raccontiamo è in ostaggio di un uomo disturbato, violento, che evidentemente stava male. Come dice sempre Francesco Di Leva, che interpreta il padre, anche lui proveniva da un contesto familiare terribile. È come una costellazione che si ripete, una dinamica che si tramanda. Non si nasce così: si cresce in certi contesti, si assorbono certi modelli. Il ragazzo protagonista, interpretato da Francesco Gheghi, sembra destinato a diventare quel tipo di uomo. Lo vedi da come parla, da come si comporta con la fidanzata, dalle scelte che inizia a fare. Il parricidio che compie è la fine tragica – e inevitabile – di una storia che poteva avere solo due esiti: o morivano loro, o moriva lui.”

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