ShorTSIFF 2022 – Sentieri Selvaggi intervista Aurora Giovinazzo

In occasione del Premio Prospettiva consegnatole nella cornice del festival triestino, la giovane attrice romana ci ha raccontato alcuni importanti passaggi della sua carriera, incluso Freaks Out

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In occasione della 23esima edizione del Trieste ShorTS, abbiamo intervistato Aurora Giovinazzo, la quale insieme a Gabriele Mainetti, regista che l’ha diretta nel recente Freaks Out, è stata premiata all’interno del festival. Premio Cinema del Presente per lui, Premio Prospettiva per lei.

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Come ci si sente a ricevere il Premio Prospettiva all’interno del Trieste ShorTS? Sembrerebbe che tu sia nella lista delle attrici del futuro…

“Prospettiva” del futuro penso sia un parolone grande e penso porti una responsabilità che non mi appartiene. Non sono un’amante della responsabilità. Anche con gli amici non amo mai organizzare le cose. Però sicuramente il periodo che sto vivendo è un grande privilegio, me ne rendo conto. Come prospettiva di vita invece mi do quella di mantenere ciò che ho adesso, non mi do altri obiettivi, perché sinceramente penso di trovarmi dentro in una grandissima culla in questo momento. Sto bene, è un periodo molto bello e importante per me e penso che questo premio vada ad evidenziarlo. I premi fa sempre piacere vincerli, sono stimolanti. Al di là del premio, è il gesto, qualcuno che ti consegna fisicamente il premio, ad essere importante. Nonostante io, essendo ballerina a livello agonistico da dieci anni, abbia ricevuto molti premi, l’emozione non mi passa mai. Per concludere, “attrice del futuro” mi sembra un po’ esagerato, forse la mia autostima non mi permette di dirlo completamente, ma secondo me bisogna solo aspettare. Ad essere importante è il percorso fatto piano piano, passo dopo passo.
A proposito di ballo, visto che sei campionessa di salsa a livello mondiale, ti sei mai immaginata come protagonista in un film di ballo e quali sono i tuoi preferiti?
Oltre a Dirty Dancing? Ovviamente neanche a dirlo è quello il grande classico. Bisogna anche dire che il mio ballo, la salsa, non è particolarmente rappresentato al cinema. Mi fa piacere immaginare un film sulla salsa, ma so anche che è molto difficile. La salsa è un ballo molto cinematografico, frizzante, gioioso, ma allo stesso tempo anche drammatico e sensuale. Dipende molto da come una persona lo balla, ma è un ballo che regala tantissime emozioni, come quelle che regala a me. Uno dei miei obiettivi è proprio quello di essere versatile, io mi sento come l’acqua, come il mare, cerco di prendere molte forme nelle situazioni. Il ballo mi dà modo di confermare questa cosa, perché mi piace cambiare, essere più persone. E per questo sia il cinema che il ballo aiutano molto. In fin dei conti ci sono 4 tipi diversi di salsa: quella cubana, quella portoricana, il merengue, la bachata. Quattro balli completamente diversi, nel mood e nello stile e che mi permettono di essere quattro persone diverse. Purtroppo nel corso del tempo ho avuto anche a che fare con qualche infortunio, ma cerco il più possibile di stare attenta e di comportarmi come un “gatto”, cadendo quanto più possibile in piedi.
In Freaks Out Matilde, il tuo personaggio, possiede una caratteristica speciale, che da un lato la ha aiutata a trovare i suoi amici, ma dall’altro l’ha portata ad un’estrema sofferenza. Qual è un elemento del tuo carattere nei confronti del tuo lavoro che in qualche modo è fastidioso o doloroso, ma che allo stesso tempo ti caratterizza e ti rende speciale?
Portare sullo schermo il rapporto fra Matilde e Israel è stato per me come se avessi fatto una sostituzione del rapporto che ho con mio padre. Quindi aprirmi in questo modo è qualcosa che mi aiuta nel fare la scena ma che poi mi fa anche soffrire, perché di fatto un attore soffre, giocando con le emozioni la maggior parte delle volte. Il tutto vissuto a 15 anni, e nonostante avessi già consapevolezza del set restano comunque 15 anni. C’è una scena in particolare, quella in cui il Gobbo mi picchia con un bastone, nella quale Gabriele mi ha portato all’esplosione, dopo aver giocato con me, come un pupazzo. Alla fine sono diventata Matilde, mentre sul set di solito ero un po’ me, un po’ Matilde, insomma dovevo ancora capire bene come funzionava di fatto il set, perché il mio primo set da protagonista l’ho appunto vissuto grazie a Freaks Out. Ed è stato proprio lì che ho capito che questo è quello che voglio fare nella vita come lavoro.
In Anni da cane stella conta gli anni come si fa con i cani, considerando ogni anno come sette.  Sembrerebbe che anche tu abbia vissuto un po’ così con tutte le esperienze sul set e fuori dal set che hai collezionato durante quella che è già una lunga carriera. Ci sono stati anche per te particolari “anni da cane”?
Sinceramente, io sento di non averla vissuta, l’adolescenza. Posso dire che da un lato mi dispiace, perché non si può tornare indietro nel tempo, ma dall’altro questa cosa è stata fondamentale per formarmi, sono cresciuta a contatto con persone più grandi. È normale quindi aver avuto una crescita accelerata, anche l’unica differenza che sentivo con i miei compagni di classe consisteva soltanto nel fatto che io avevo già iniziato a lavorare e a conoscere il concetto di responsabilità. Bisogna rinunciare a delle cose per poter andare sul set, come rinunciare alla gita scolastica o a stare con gli amici di pomeriggio. Quindi si crea un meccanismo complicato per una ragazzina, anzi bambina. Sarò sincera, a me piace molto stare da sola e stare in tranquillità, non faccio spesso festa con gli amici. Ho iniziato a godermi le amicizie in maniera diversa ultimamente, perché le prendo con un altro tipo di carattere. Mettere in mezzo il ballo con il set e con lo studio ha sicuramente fatto volare tanti anni della mia vita. Chiudevo gli occhi, li riaprivo ed ero già arrivata ad un anno dopo. Ecco, lì ho avuto un po’ di paura e anche un po’ di dispiacere e nostalgia degli anni passati, “l’epoca” che se ne era andata. Questa però è la vita e l’emozione per quello che mi ha regalato è senza dubbio tanta.
Quando Aurora rientra a casa dopo il set o dopo una giornata piena di impegni, prima di addormentarsi, a cosa pensa? Cosa sogna, o di cosa ha paura?

Calcolando che soffro di insonnia, è la domanda perfetta. Chiaramente ho i miei tormenti, come quelli di tutti. Essere felici, sapere prendere la decisione giusta al momento giusto, non essere certi di andare a destra, oppure a sinistra. Non ci sono più i tuoi genitori a prendere decisioni al posto tuo, già da un po’ per me è così. Tutto è in mano a te, la responsabilità è tua, quindi il peso aumenta. Credo però che queste siano domande normale per i giovani, d’altronde mi definisco ancora “una ragazzetta”, non ancora donna. Vorrei essere una brava persona, che fa del bene e che sappia stare sul pezzo. Essere ricordata per qualcosa di bello, che in fondo è un po’ l’obiettivo di tutti.

Ci sono dei sogni puramente lavorativi invece? Qualche regista con cui vorresti lavorare o rilavorare, come per esempio Gabriele Mainetti stesso?

Gli obiettivi sono tanti, anche se cerco di mantenere i piedi per terra. Oltre a darmi degli obiettivi sono anche obiettiva insomma. Mi piacerebbe tanto rilavorare con Gabriele ovviamente, mi sono trovata benissimo con lui. Sogno di incontrare tantissime persone, non per forza lavorarci perché so che in questo lavoro non è così, mi basterebbe parlarci. Come dicevo prima, spero principalmente di mantenere quello che ho adesso, al di là della carriera. Sento una pace con il lavoro e con lo sport, anche se ho avuto un infortunio al ginocchio. Il premio di Trieste mi fa capire che questo si sta concretizzando sempre di più, spero di riuscire insomma a trovare tante porte aperte. Chiaramente sarebbe interessante anche lavorare all’estero, ma prima vorrei iniziare a sottolineare il mio nome qua. Vorrei fare le cose con calma, perché le cose fatte con calma si godono di più, senza ansie. Sono le migliori.

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