“Shrek e vissero tutti felici e contenti”, di Mike Mitchell

shrek e vissero tutti felici e contenti

Una storia che sembra guardare al Canto di Natale di Dickens e a La vita è meravigliosa di Capra, ma che rinuncia alle inquietudini profonde dei riferimenti, per propugnare una morale edificante e rassicurante. Poco male, se fosse solo questione di morale. Ma ormai è solo il contorno a far sostanza. Shrek è un orco troppo ingentilito, troppo ‘semplicemente’ umano nelle voglie del suo corpo timidamente tridimensionale. E’ come uno specchio imperfetto, nel quale non ci riconosciamo

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shrek e vissero tutti felici e contentiIl quarto e definitivo capitolo delle avventure dell’orco Shrek assomiglia a un salto all’indietro. Da un punto di vista strettamente narrativo, in quanto cancella ‘magicamente’ tutta la storia dei capitoli precedenti, riportandolo, in un certo senso, ai nastri di partenza. E, cosa più importante, da un punto di vista qualitativo, azzerando di un colpo la carica sottilmente eversiva che aveva fatto la fortuna della saga Dreamworks.
Così, pur seguendo ancora una volta la strada dell’ammiccamento e del citazionismo, questo Shrek sembra definitivamente rinunciare alla comicità politicamente scorretta delle origini, per appiattirsi definitivamente su posizioni normalizzatrice. L’orco ‘imborghesito’ dalla vita familiare sogna di tornare ai bei tempi andati della libertà terrificante, fuori dalle regole dell’ordine sociale, dai vincoli matrimoniali e paterni. Firma un contratto con il losco Tremotino, per avere un giorno da vero orco, in cambio di ventiquattro ore qualsiasi della sua infanzia. Ma l’astuto e vile farabutto sceglie di prendersi proprio il giorno della nascita di Shrek. Con l’orco mai nato, Fiona non può esser liberata dall’incantesimo che la tiene imprigionata e l’intero reame di Far Far Away è destinato a cadere nelle grinfie di Tremotino. Una storia (sceneggiata da Josh Klausner e Darren Lemke) che sembra guardare al Canto di Natale di Dickens e a La vita è meravigliosa di Capra, ma che rinuncia alle inquietudini profonde dei riferimenti, per propugnare una morale edificante e rassicurante. Poco male, se fosse solo questione di morale. Perché siamo chiari: lo spettacolo funziona. Così come funzionano alcune trovate, che apportano sottili variazioni su un ritmo e una melodia ampiamente collaudate. Il gatto con gli stivali rimane un affascinante uomo d’armi spagnolo, sebbene indicibilmente ingrassato. Ciuchino è il solito casinaro. E i personaggi di contorno restano: dal pifferaio magico, che prova a trasformare lo spazio in un seducente palcoscenico musical, al fantastico pinocchio, disposto a spacciare per un orco il povero Geppetto pur di ottenere in cambio un corpo di carne e ossa. Ma ormai è solo il contorno a far sostanza. Mitchell si limita all’ordinario e Shrek è un orco troppo ingentilito, troppo ‘semplicemente’ umano nelle voglie del suo corpo timidamente tridimensionale. E’ come uno specchio imperfetto, nel quale non ci riconosciamo. Il cuore dell’ uomo resta lontano, appena sfiorato. Ed è proprio questa distanza a segnare lo scarto con i geni della Pixar.  
 
Titolo originale: Shrek Forever After
Regia: Mike Mitchell
Interpreti (Voci): Mike Myers, Cameron Diaz, Antonio Banderas, Eddie Murphy, Walt Dohrn, Julie Andrews
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 93’
Origine: USA, 2010
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