"Siamo abituati a vedere per la maggior parte immagini di violenza, scontri tra occupanti e polizia, noi invece ci siamo concentrati sui dialoghi e sulle azioni umane." Incontro con Naomi Klein e Avi Lewis.

“The Take” affronta l’esperienza argentina dell’occupazione delle fabbriche da parte degli operai, riportando alla ribalta il tema della globalizzazione. Ce ne parlano la scrittrice e il regista.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
Il film è ambientato nei sobborghi di Buenos Aires e segue la vicenda di una trentina di operai della fabbrica Forja San Martin che dopo la sua chiusura decidono di occuparla per ottenerne l’espropriazione. E’ un documentario sulla crisi economica argentina.
 
Come mai nell’era della TV che trasmette informazioni  ininterrottamente la gente ha bisogno dei documentari?
 
Avi Lewis: Penso che nonostante il prolificare di canali satellitari che informano 24 ore su 24, i documentari riescano ad avere successo grazie alla crisi delle stesse notizie televisive. Quello che troviamo in un documentario è ciò che manca nell’informazione quotidiana attraverso i ripetuti notiziari: un contatto, un approfondimento, un’emozione, il vero carattere della realtà. La gente ha bisogno di notizie vere.
 
Quanto conta la celebrità per trasmettere dei discorsi, ne è un esempio anche il regista Solanas?
 
Avi Lewis: Solanas l’ho conosciuto al Filmfestival di Buenos Aires dove le nostre produzioni erano in programma, ma non ho visto il suo film. Lui con la sua storia spiega in maniera elaborata e precisa la crisi economica, noi invece cerchiamo di narrare le vicende umane. In Sudamerica ad esempio il nostro film non esiste, mentre quello di Solanas è l’ultima parola sulla crisi che vive l’Argentina.
 
Naomi Klein: Non sentiamo competizione con altri cineasti, anzi il nostro è un lavoro che ci permette di sostenerci l’un con l’altro. Si può dire che The Take andrebbe visto dopo The Corporation, perché complementari, e The Corporation fa da base. Sono films che visti uno di seguito all’altro rendono pienamente la realtà argentina.
 
Cosa ne pensate della nomina di Wolfovitz come presidente della Banca Mondiale?
 
Naomi Klein: Totalmente d’accordo perché finalmente toglie la maschera tra la connessione che esiste tra la guerra e la realtà politico-economica. E’ meglio che la cosa sia smascherata e avere un vero guerrafondaio.
 
Per il cinema canadese è un vanto il settore del documentario?
 
Avi Lewis: Il documentario è stato inventato in Canada. Quindi il nostro Paese vanta di questa tradizione anche se poi dopo l’invenzione c’è stata una scarsa sperimentazione, e di conseguenza lo sviluppo del documentario grazie ad altri Paesi. Noi possiamo dire comunque di conoscere molto bene gli Usa e la nostra critica è precisa. Ma anche la nostra cultura ha del buono e del non buono. Con The take noi abbiamo preservato uno spazio per una vera critica.
 
Naomi Klein: Chi fa il documentario vuole vedere, vuole osservare, ma non vuole essere visto. Così è il Canada verso gli Usa: noi vogliamo osservare senza essere visti da loro.

C’è censura nel film? Il movimento politico è molto più forte di quanto il documentario faccia vedere, questo perché c’è stato un aggiustamento dei fatti?
 
Avi Lewis: Assolutamente no. Il giorno dell’occupazione noi ci aspettavamo succedesse qualcosa di molto più drammatico, come in situazioni simili precedenti. Ma ci  sono state altre occupazioni molto pacifiche come quelle del film, dove gli operai erano comunque autorizzati ad occupare la fabbrica. E’ quindi questo un ritratto della storia. I primi tre mesi abbiamo seguito una ventina di situazioni differenti con le cineprese sempre presenti. Abbiamo scelto questa storia perché è la prima sulla quale siamo riusciti ad arrivare al momento preciso dell’occupazione.
 
Noemi Klein: Si può parlare di pornografia della protesta: siamo abituati a vedere per la maggior parte immagini di violenza, scontri tra occupanti e polizia, sicuramente la parte dell’occupazione stessa che spinge al cambiamento. Si vede anche nel film il momento dell’espropriazione: operai tirano sassi e cemento e la polizia spara sul serio. Ma non crediamo che solo queste scene possano rappresentare il movimento che avviene, noi volevamo far vedere con il film tutto il percorso del cambiamento. Sicuramente momenti con meno sex-appeal ma per me molto importanti, l’idea di come avviene il cambiamento sociale è spesso misterioso. In tv viene attribuito sempre al momento in cui scoppia la violenza. Noi invece ci siamo concentrati sui dialoghi e sulle azioni umane.
 
Un film politico per cui sperate in un impatto preciso?
 
Avi Lewis: Non sarebbe un male se tutti gli operai iniziassero a prendere possesso delle fabbriche, ma non è questa l’intenzione del film. Quello che diciamo con la nostra storia è che la gente è affamata di alternative e quindi siamo finiti in Argentina, un Paese dove si stavano cercando effettive alternative in modo libero e democratico. La vicenda ci sembrava un collegamento con tutte le altre realtà sociali. Vedremo la gente come reagirà. Ho ricevuto dozzine di inviti dal Nordamerica dove ci sono fabbriche con problemi e vogliono vedere il film per trovare degli spunti. Non parliamo però solo delle fabbriche: è un punto di incontro con tanti movimenti sociali.
 
Cosa è successo dopo il film?
 
Naomi Klein: Siamo ancora in contatto con le persone del film. Il lancio del film ha coinciso con la celebrazione dell’anniversario dell’occupazione della fabbrica Bruckman, conclusa con l’autorizzazione per gli operai di gestirla per altri venti anni. Alla Zonan sono stati assunti molti operai però continua ad esistere un lato mafioso interno. Anche per la Forja San Martin si delinea un discorso interessante.  E’ stato proposto che non sia un’eccezione che gli operai occupino la fabbrica in caso di bancarotta, ma che sia una consuetudine. Altro fatto significativo è che i movimenti sociali in America Latina stanno diventando molto più forti. Dall’Argentina il cambiamento si è esteso anche in Bolivia, Venezuela e Uraguay. Tutto il continente sta rigettando questa politica economica neo-liberale.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative