Siamo in un film di Alberto Sordi?, di Steve Della Casa e Caterina Taricano

Il documentario analizza il segmento ascendente della parabola sordiana inframezzando i tanti film interpretati dall’attore romano con interviste a Mollica, Monaldo, Celestini, Piovani. #RomaFF15

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All’inizio era una voce. Forte, dal timbro basso, da canto lirico. Poteva modularsi doppiando Oliver Hardy o inventare alla radio personaggi memorabili come il Signor Dice, il Conte Claro e Mario Pio. Poi la voce divenne musica e la recitazione si accordava al tempo passando dal comico al grottesco, con qualche sfumatura tragica. All’inizio Alberto Sordi non fu capito, e il suo nome sulla locandina veniva quasi nascosto perché associato a uno scarso riscontro di pubblico: ma dopo I vitelloni (1953) di Fellini e Un Americano a Roma (1954) di Steno la carriera divenne memorabile e si prolungò con successo fino alla prima metà degli anni 80.

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Steve Della Casa e Caterina Taricano analizzano proprio questo segmento ascendente della parabola Sordiana inframezzando le tante pellicole interpretate dall’attore romano con le interviste a Vincenzo Mollica, Ascanio Celestini, Nicola Piovani, Riccardo Rossi e Giuliano Montaldo. Sordi mette insieme le esperienze del cabaret e dell’avanspettacolo, la radio, il ruolo di doppiatore, e le amalgama con una acuta analisi degli uomini del suo tempo colti nelle proprie debolezze e nei vizi segreti. Se è vero che non sopportiamo tra i nostri simili coloro che hanno i nostri stessi difetti, si può capire come parte della critica abbia clamorosamente frainteso la portata dell’operazione antropologica di Alberto Sordi, scambiandola per qualunquismo. E’ sufficiente ricordare Guglielmo il dentone de I complessi o l’Alberto Nardi de Il Vedovo: la gamma di sfumature caratteriali va dal caparbio personaggio che vince l’handicap fisico con la pignoleria e la professionalità fino all’avido mantenuto che arriva cinicamente a organizzare l’uxoricidio. Se musica e comicità sembrano andare di pari passo, la bravura di Sordi sta anche nel modulare il linguaggio partendo dall’osservazione reale per astrarla fino al paradosso. Dal Medico della Mutua fino al Marchese del Grillo sembra di rivedere l’involuzione della società italiana dagli anni del boom fino al reflusso degli anni 80, con cinici industriali e arrampicatori sociali di ogni varietà e grado: l’italiano più che medio è mediocre, ignorante, divorato da desideri al di sopra delle proprie possibilità. Altro capitolo è il rapporto odio amore di Alberto Sordi con l’universo femminile: memorabili gli incontri-scontri con Giovanna Ralli, Monica Vitti, Franca Valeri, Silvana Mangano (quest’ultima probabilmente il grande amore della sua vita).

Caterina Taricano e Steve Della Casa riescono nell’intenzione di omaggiare la figura di un artista troppo spesso tacciato di regionalismo, e che invece ha universalizzato le contraddizioni di una città come Roma elevandola a simbolo di una deriva morale collettiva. In questo aspetto il cervello di Alberto Sordi è lo sceneggiatore Rodolfo Sonego che gli ha ritagliato su misura diversi ruoli, cuciti perfettamente assecondandone gli aspetti istrionici e le deformazioni caratteriali. Se è vero che nella parte finale della carriera, sia come regista che come attore, Sordi non sia stato più capace di inquadrare la realtà contemporanea, bisogna comunque riconoscerne l’enorme ruolo all’interno del Cinema, innovatore e sperimentatore pur nei confini di una struttura classica non necessariamente comica. Nel documentario viene ricordata la immensa prova in Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy, ma Sordi è davvero irraggiungibile in altri capolavori drammatici come Una Vita Difficile e Un Borghese Piccolo Piccolo.  Il “Jean Gabin giovane” perde nel corso del tempo quella leggerezza che lo faceva cantare e ballare con le gemelle Kessler nel finale dell’episodio de I Complessi. Diventa più cupo, malinconico, silenzioso, quasi prendesse coscienza della pochezza dell’essere umano, delle sue meschinità e miserie. Ce lo meritiamo Alberto Sordi.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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