Sibyl. Labirinti di donna, di Justine Triet
Terzo lungometraggio della cineasta francese che incrocia la psicoterapia con imbarazzante superficialità, scopiazza Un’altra donna ed esibisce una presunzione senza fine.

Ancora una scissione nel cinema di Justine Triet. Il corpo e la mente. Anche quello di Sibyl è diviso tra vita professionale e intima. Come la giornalista di La bataille de Solférino e l’avvocato penalista di Tutti gli uomini di Victoria. Soprattutto quest’ultima sembra la reincarnazione di Sibyl. Sempre interpretata di Virginie Efira, mette a nudo tutte le sue contraddizioni e soprattutto entra in un tunnel dove la propria immaginazione contamina la realtà. Il cinema della Triet gioca soprattutto su questa ambiguità. Tra quello che accade realmente e i pensieri/desideri/incubi della protagonista. Quello che succede – a cominciare dal rapporto con l’amante – potrebbe essere soltanto nella sua testa.
Sibyl è una psicoterapeuta che vuole tornare alla sua prima passione, quella di scrittrice di romanzi. Decide così di non seguire più quasi tutti i suoi pazienti. Ma improvvisamente riceve una telefonata da Margot (Adèle Exarchopoulos) che la supplica di riceverla. La ragazza è un’attrice in crisi. È incinta e non sa se tenere il bambino. E la implora di seguirla a Stromboli dove sta terminando le riprese di un film.

Un gran pasticcio. Di dilagante presunzione. Esempio di quei cineasti che fanno di tutto per farsi notare. E il loro piccolo mondo si allarga a macchia d’olio e diventa la rappresentazione di tutto il mondo. E allora non ce n’è per nessuno.
Titolo originale: Sibyl
Regia: Justine Triet
Interpreti: Virginie Efira, Adèle Exarchopoulos, Gaspard Ulliel, Niels Schneider, Sandra Hüller, Laure Calamu
Distribuzione: Valmyn
Durata: 100′
Origine: Francia, Belgio, 2019