SICILIA QUEER FILMFEST 2012 – Festival Internazionale di Cinema GLBT e Nuove Visioni


La seconda edizione del Sicilia Queer Festival si dichiara più forte e politica, aperta a tutte le differenze, con una madrina, Vladimir Luxuria, che è una scelta di campo “militante”. In cartellone oltre cinquanta film tra lungo e cortometraggi, l’omaggio a Werner Schroeter e Serge Daney, intersezione con letteratura e saggistica queer e tavole rotonde di studi

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“Be yourself, because everybody else is taken”. Con queste parole fulminanti di Oscar Wilde, la seconda edizione del Sicilia Queer Festival, diretto da Alessandro Rais, si dichiara più forte e politica. L’invito è chiaro: apertura a tutte le differenze, chiarezza e libertà nell’espressione della identità personale, qualunque essa sia. La scelta come madrina di Vladimir Luxuria è una scelta di campo militante che si sposa con il superamento di quella insidiosa ghettizzazione che rischiano i festival di genere. Per questo il Sicilia Queer Festival, già nel titolo, fa riferimento a “nuove visioni”. O meglio, ad una attenzione colta, severa, all’arte cinematografica, che rischia di esser celebrata soltanto nelle sale dei musei di Cinema. Occorre che anche i festival tematici o di genere ripropongano in maniera virale una idea del cinema attraverso opportune testimonianze. Per questo l’omaggio a due importanti autori, Serge Daney e Werner Schroeter, non è uno sterile riempitivo. Del primo in Italia ci si è completamente scordati, i suoi libri sono introvabili e il documentario in edizione francese della lunga intervista da parte di Regis Debray, rimane una chimera nel mercato italiano (sarà difficile che qualcuno pensi a una edizione nostrana, qui comunque getto la pietra, se qualcuno si fa avanti… ).

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Itineraire d’un ciné-fils di Pierre-André Boutang e Dominique Rebourdin è in programma proprio il primo giorno del festival. Si tratta di un breve estratto di trenta minuti, poco rispetto alle oltre tre ore di intervista a Daney, ma va lodata la volontà di mostrarlo a tutti i costi, impegnandosi anche nella traduzione e i sottotitoli (un ringraziamento va ad Andrea Inzerillo, programmatore della Carte postale à Serge Daney). E di inserire nel catalogo un contributo di Jacques Rancière, “Le lieu commun”, apparso sui Cahiers du Cinéma, numero 448 del luglio agosto 1992, dopo la morte di Daney, che sembra una constatazione dell’inutilità della critica, del ruolo del critico (su cui è stata organizzata una tavola rotonda, purtroppo tra pochi intimi, tanto per confermare dell’interesse “esterno”, pubblico verso la critica in generale, cinematografica e non, pari a zero), laddove, come dice bene Rancière, “l’immagine che non ha più niente da dirci, più niente da promettere, se non la soddisfazione abietta di essere i furbi che non si lasciano ingannare dalle immagini, che non hanno neanche bisogno di guardarle perché conoscono il niente che hanno da dire e che è stato infinitamente ridetto nelle sue varianti […]. E quando l’immagine e la credenza hanno preso questa svolta furbetta, per chi ha memoria e rispetto di sé il ruolo del critico non è più sostenibile”. La carta postale a Daney comprende anche la visione di un brano delle Histoire(s) godardiane, del seminale The night of the hunter (La morte corre sul fiume) di Charles Laughton e di uno di quei film che “ci liberano la testa”, Querelle di Rainer Werner Fassbinder.

Se si dovesse mettere in tempi recenti sui piatti di una immaginaria bilancia il peso del documentario e quello del cinema di fiction, la bilancia certo oscillerebbe dalla parte del documentario. Opere che spesso contengono materia incandescente. Non a caso il trailer del festival è realizzato dal bravissimo Stefano Savona, documentarista doc, che presenta il suo straordinario Palazzo delle Aquile (vincitore a Parigi del Cinema du Réel), resoconto entomologico dell’immobilità dell’amministrazione palermitana e della resistenza a tratti surreale delle famiglie che  hanno perso la casa e occupano il Comune, estremo atto necessario per reclamare i propri diritti e ottenere un minimo ascolto.

 

 

Tra i documentari, nella prima giornata, è Trans di Chris Arnold, premiato alla edizione 2012 del Torino GLBT film festival, ad articolare storie intime vissute dalla comunità transgender che prefigura la transizione come necessaria in molti casi. Il calvario chirurgico è per fortuna attenuato dalla presenza di strutture che sono vicine alle persone, si occupano di tutti gli aspetti. Ma soprattutto è la nuova informazione che viaggia in rete a moltiplicare i benefici, laddove chi si riconosce in una determinata condizione di disagio verso il proprio corpo, può finalmente comprendere questo aspetto della sessualità e prendere le dovute decisioni in vista di vivere con pienezza la propria identità. Si percepisce l’esperienza del regista Arnold come montatore presso la BBC, dal momento che le vicende sono organizzate tra presente e passato, con efficaci giustapposizioni che rendono la visione sempre vivace attraverso il racconto diretto dei vari personaggi. Ben diverso è l’approccio di Montse Pujantell con il suo Guerriller@s. Si tratta di un documentario con le stesse caratteristiche narrative di Trans, le testimonianze dirette, frontali, dei protagonisti, ma i sentimenti sono diversi. Chi ha voglia di farsi operare per sostituire un pene con una vagina? Chi ha stabilito che gli organi sessuali devono avere determinate caratteristiche per l’identificazione dei generi? E, soprattutto, chi ha stabilito cosa vuol dire “eterosessuale”, e cosa vuol dire “omosessuale”? Se l’eterosessuale pensa anche una sola volta ad avere un rapporto con persone dello stesso sesso vuol dire che forse non è eterosessuale? 

Insomma, la conclusione è che esiste un sistema capitalistico che rende rigide le distinzioni. La base del sistema è il nucleo familiare con i suoi consumatori all’interno divisi tra i vari ruoli. Ma tutto questo ha poco senso ed è pericoloso quando molti individui si sentono gravemente privati della possibilità di esprimere una identità transgender, che può variare, modularsi in varie forme, piaceri, sensazioni, non irreggimentabili ad un costume imposto dall’esterno. Risulta quasi commovente allora uno dei personaggi che preferisce mantenere nella carta d’identità il genere femminile, quando è in apparenza un maschio, per rivendicare il suo sé più autentico, transgender. E risultano insopportabili le certificazioni mediche per ufficializzare una “malattia” (soprannominata ipocritamente con altre parole, tipo “disordine”, ecc.) che non esiste.



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