Silence, di Martin Scorsese

Il cattolicesimo da una parte e il buddismo dall’altra, che qui vengono messi uno accanto all’altro, quasi a specchio, per portare il racconto dell’uomo scorsesiano verso una terza via

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Nel Giappone del XVII secolo dopo un centinaio di anni di pacifica evangelizzazione iniziò sotto il periodo Tokugawa una feroce persecuzione nei confronti dei cristiani. Si stima che intorno al 1600 i giapponesi convertiti dai missionari europei fossero quasi 300.000, ma nel 1614 un editto espulse tutti i preti cattolici e diede via libera alle autorità feudali di combattere con ogni mezzo la religione cristiana. La storia di Silence e dell’omonimo libro di Shūsaku Endō inizia in questo inferno di abiure, torture, condanne a morte e conversioni. Nel 1640 due gesuiti ancora giovani ricevono una lettera disperata del loro padre spirituale Ferreira (Liam Neeson), trasferitosi in Giappone anni prima. La lettera è vecchia e alcune dicerie parlano di un Ferreira che nel frattempo ha abiurato al cristianesimo e si è convertito al buddismo. Rodrigues (Andrew Garfield) e Garpe (Adam Driver) decidono così di raggiungere clandestinamente il Giappone per recuperare le tracce di Ferreira e proseguire l’evangelizzazione interrotta dal maestro. Trovano un Paese dilaniato dalle persecuzioni e in mano agli shogun.

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È un progetto che Martin Scorsese inseguiva da moltissimo tempo, al punto che la sceneggiatura di Jay Cocks risale ai primi anni 90 e sembra davvero che tutta la recente, e in buona parte controversa, filmografia del cineasta italoamericano abbia ricoperto solo una funzione meramente alimentare al cospetto di questa lunga (160’) e rigorosa riflessione sulla fede cristiana. I temi sono quelli ricorrenti della filmografia scorsesiana dai tempi di Mean Streets e Toro scatenato: il sacrificio, la possibilità di una redenzione, il conflitto culturale come violenza sociale. E ci sono anche alcune concessioni drammaturgiche come l’effeminato inquisitore interpretato da Issey Ogata: quasi un’incarnazione grottesca e mefistofelica del villain Joe Pesci di Quei bravi ragazzi/Casinò e del Macellaio di Gangs of New York. Anche se in realtà Silence chiude in tutta evidenza una trilogia religiosa iniziata con L’ultima tentazione di Cristo e proseguita con Kundun (senza dimenticare Al di là della vita, che nella sua ossessione per la salvezza e per la fuga dalla morte sembra quasi una costola horror di questo film). Il cattolicesimo da una parte e il buddismo dall’altra, che qui vengono messi uno accanto all’altro, quasi a specchio, per portare il racconto dell’uomo scorsesiano verso una terza via.

Non è un film pienamente appagante Silence. Eppure mai il cinema di Scorsese è stato così materico e laico. Non è tanto un’opera spirituale, quanto una discussione sul colonialismo – e soprattutto qui risiede la sua attualità, per non dire urgenza, politica – e sulla fede attraverso gli strumenti dell’uomo. Il sacro emerge una volta ancora attraverso gli oggetti – crocifissi, rosari, volti del Cristo che diventano allucinazioni – in una comunicazione che si fa necessariamente orizzontale e interiore. Senza la possibilità di un segno. Da uomo a uomo. Oppure dentro l’uomo. “Signore, perché sei silenzioso? Perché sei sempre silenzioso?”. Attraverso il silenzio – anche di una colonna sonora musicale inaspettatamente assente – Scorsese riscopre tanti elementi che nel suo cinema fino a oggi avevamo stentato a riconoscere. Trova un suo ritmo. Un suo tempo. I suoni diventano la partitura di un mondo primordiale da ascoltare e contemplare e di un dialogo costante con le voci fuori campo di protagonisti e narratori.
E le immagini di Rodrigo Pietro – altro talento messicano della cinematografia contemporanea, ma più rigoroso e meno pirotecnico del connazionale Lubezki – si plasmano e interfacciano con gli elementi della natura. Silence diventa così non soltanto un film di parole (e di volti), ma di aria, terra, acqua e fuoco. Nella ricerca di Dio, i gesuiti Garfiled e Neeson finiscono con lo scoprire un altro paesaggio percettivo e Scorsese con l’abbracciare in maniera definitivamente convincente un altro cinema possibile. Forse in generale non più urgentissimo. E piacerà a pochi. Ma finalmente personale e depurato.

 

Titolo originale: id
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Adam Driver, Andrew Garfield, Liam Neeson, Ciarán Hinds, Issey Ogata, Tadanobu Asano, Shinya Tsukamoto, Ryô Kase
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 161′
Origine: USA, 2016

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (7 voti)
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