Sisters With Transistors, di Lisa Rovner

«Una storia di sogni diventati realtà grazie alla tecnologia», quella delle pioniere della musica elettronica. Meduse cibernetiche, scienziate ed artiste oggi dimenticate. Al Festival dei Popoli 61

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Sisters With Transistors, «storia di sogni diventati realtà grazie alla tecnologia», è il documentario d’esordio di Lisa Rovner, giovane regista franco-tedesca residente a Londra, presentato al Festival dei Popoli 61 nella sezione “Let The Music Play”, dedicata ai documentari musicali. Dopo PJ Harvey – A Doc Called Money dello scorso anno, e Patti in Florence, apertura dell’attuale edizione, un’altra storia di donne in musica. Abbandonato però il terreno del rock si viaggia nelle impalpabili, nebulose, estendibili galassie della musica elettronica. Il film è il racconto di un’avventura troppo spesso dimenticata, fatta di sintetizzatori modulari, enormi computer primordiali, strumenti che suonano solo se non sono toccati, e soprattutto ragazze e donne sperimentali. È la storia non raccontata delle pioniere della musica elettronica, meduse cibernetiche all’avanguardia, non solo artistica ma anche scientifica. Ben lontane a ben guardare dall’immagine glamour di DJ e producer contemporanee, dall’universo social o dai club più alla moda delle metropoli mondiali, si parla innanzitutto di scienziate: matematiche, fisiche, esperte in acustica, musiciste sopraffine e coltissime, eppure, come molte colleghe delle avanguardie di inizio secolo, dimenticate. Sono donne che hanno rivoluzionato il modo di fare e di sentire musica, sapendo maneggiare l’enorme potere – ambiguamente – liberatore della tecnologia. «Automatizzo tutto quello che può essere automatizzato, per essere libera di concentrarmi su quegli aspetti della musica che non possono esserlo… La sfida è comprendere quali siano una e quali l’altra cosa», diceva Laurie Spiegel. Così, dalla fine dell’Ottocento, con la mitica Ada Lovelace, e per tutto lo scorrere del Novecento, queste donne visionarie hanno messo in atto una radicale sperimentazione creando il suono del futuro sintetizzando il suono di aerei, treni, di forbici, di rumori captati dalla strada e persino quelli che provengono «dal nulla». Tuttavia quando l’elettronica prese piede furono abilmente lasciate fuori dai racconti ufficiali.

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La narrazione del documentario si affida alla voce profonda e cantilenante di Laurie Anderson,  che accompagna gli spettatori in un viaggio che tiene parallelamente insieme l’ammaliante evoluzione di una nuova arte in «espansione verso altri universi» (come direbbe Laurie Spiegel), ed il cammino di liberazione di queste donne, pronte ad uscire, o meglio, a sfondare le pareti della casa di bambola in cui la società le relegava. Lisa Rovner sceglie di maneggiare l’ingente materiale d’archivio mettendo in scena il suo film per tableaux, una galleria in cui ciascuna ha finalmente il suo posto: c’è l’elegantissima Clara Rockmore, unica in grado di gestire i suoni alieni generati dal misterioso theremin, lo strumento più “più sci-fi” degli anni Sessanta, e la musica disegnata di Daphne Oram, fondatrice del Radiophonic Workshop, lo studio di effetti sonori della BBC, nonché prima ‘lady’ ad aprire da sola, nel pieno degli anni Cinquanta, uno studio di registrazione; seguite da Pauline Oliveros e Laurie Spiegel , Bebe Barron e Maryanne Amarache e molte altre. Poi naturalmente lei, Suzanne Ciani, «The Diva of the diode», la prima donna ad apparire sulla copertina della rivista Keyboard, caschetto nero e gran sorriso.

Sorelle in arte, a testimoniare ancora ed ancora che la storia delle donne è stata una storia di silenzio, ma di silenzio che viene rotto, qui con rumori bellissimi, ipnotici e formule matematiche. Perché, ad usarla bene, la tecnologia fa saltare le strutture del potere.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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