Smile 2, di Parker Finn
Parker Finn ha forse scoperto la formula dell’horror pop definitivo: giocoso nel costruire i jump scare, complice dello spettatore, cinefilo, appassionato. Peccato perda forza nel finale.
È un po’ come aver superato uno scoglio o, meglio ancora, essere risultati idonei dopo un esame. Quando, due anni, Parker Finn sale sul palco dell’Elevated Horror contemporaneo, con il suo esordio Smile, è un ordinato scolaro “ideologico” della scuola A24. E a suo modo ha ragione lui perché il film è un piccolo caso positivo al botteghino e potenziale capostipite di un franchise che oggi, con Smile 2, comincia a prendere piede. Ma forse lo stesso Finn non è più quello del 2022, forse, ora si rende conto che può rischiare di più, anche soo per far sentire ancora di più la sua voce.
Forse anche per questo il racconto riprende appena una manciata di giorni dopo la fine del primo capitolo, come a voler tornare in contatto il prima possibile con quello spazio narrativo. E allora ecco che prosegue la maledizione del demone del sorriso, che di vittima in vittima arriva fino a Skye Ryley, popstar pronta a tornare sulle scene dopo un lungo periodo di assenza a seguito di un grave incidente e di una disintossicazione dalle droghe e che proprio durante le prove del nuovo tour dovrà fare i conti con terrificanti visioni che annunciano l’attacco del mostro.
Colpisce il modo in cui Finn rientra nel mondo, quasi “sfondando la porta”, con un piano sequenza in apertura del film, qualcosa di quasi inconcepibile nel tipo di cinema a cui si relaziona, una scelta che sa di marcatura giocosa, quasi uno svelamento della presenza del regista tra le immagini. È forse questa la grande svolta del film, che fin da subito rivela le sue carte e porta in primo piano la sua natura “meta”, quasi ci fosse lo stesso Parker Finn nei panni dell’entità invisibile, quasi che sia proprio la diegesi, lo sguardo diegetico, i responsabili delle minacce soprannaturali con cui deve confrontarsi la protagonista.
Si percepisce, evidente, la volontà di emancipare il tipico Jumpscare dalla fugacità dello spavento improvviso. La costruzione della sequenza diventa prima di ogni altra cosa il principale dispositivo spettacolare del film, che lo script organizza non solo con meticolosa precisione ma anche con un certo gusto per la ricerca di meraviglia, stupore, nello sguardo dello spettatore. Si ragionava già, in realtà, tra The Conjuring. Per ordine del diavolo e The Strangers 2. Prey at Night di questa crescente blockbusterizzazione dell’horror, del jumpscare trattato alla maniera di un complesso stunt “modulare” alla Dominic Toretto, ai limiti del virtuosismo di scrittura. Parker Finn in questo senso non inventa forse nulla di davvero nuovo ma approfondisce in modo non banale un discorso centrale, perché radicalizza quello spunto e considera apertamente Smile 2 come una sorta di dispositivo spettacolare permanente fondato sul jumpscare e dunque, anche per questo adattabile e riproducibile in qualsiasi contesto narrativo.
Come un gioco, appunto, con le immagini ma forse anche con il cinema stesso. Dopotutto è una diretta conseguenza di quell’assimilazione mostro/regista da cui si è partiti. È lo stesso film a dirci che il Demone del Sorriso agisce come una malattia, un virus, che infetta le sue vittime ma che probabilmente agisce anche tra le immagini dell’horror puro, che difatti improvvisamente finiscono per essere dirottate, riscritte guardando ad altri contesti, quasi a voler “doppiare” le psicosi della protagonista: l’action, il thriller dal retrogusto a là Adrian Lyne, il body horror, addirittura il musical. Sono tutte idee ma tutte centrate, divertite oltreché divertenti. Al massimo a Smile 2 manca la prevedibile zampata radicale, l’annullamento totale del suo mondo. Perché la forma si può fare a pezzi fino ad un certo punto.
Quando torna nelle coordinate dell’horror, nel lungo ultimo atto, il film perde un po’ della sua forza. Le suggestioni rimangono affascinanti ma è evidente che abbandonare la cornice concettuale da cui si era partiti quasi rompe la magia che aveva nutrito il film fino a quel momento. Ma forse fa parte del gioco, forse basterà un’altra iterazione per chiudere davvero il cerchio.
Titolo originale: id.
Regia: Parker Finn
Interpreti: Rosemarie DeWitt, Kyle Gallner, Naomi Scott, Lukas Gage, Dylan Gelula, Peter Jacobson, Drew Barrymore, Raúl Castillo, Miles Gutierrez-Riley
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 132′
Origine: USA, 2024