So cosa hai fatto. L’horror tra critica e auto-fiction
Pier Maria Bocchi firma un libro, edito da Lindau, che è contemporaneamente storia del cinema (horror) e racconto autobiografico di uno spettatore
Dietro ogni critico cinematografico si cela uno spettatore. Dietro ogni film che si ama, si nasconde un pezzo di vita. Anzi, molto spesso si rivela un pezzo di vita. Ecco. Quest’ultimo libro di Pier Maria Bocchi, studioso e critico cinematografico (Cineforum, FilmTv), già autore di diversi volumi dedicati, tra gli altri, al neo-noir e al cinema di Michael Mann, parte da questa consapevolezza. Il cinema come oggetto di studio, diventa anche inconsciamente— impossibile negarlo, anche per i più freddi strutturalisti — oggetto d’amore e racconto di sé.
Così So cosa hai fatto. Scenari, pratiche e sentimenti dell’horror moderno (Ed. Lindau) è, quasi inevitabilmente, sia un libro sull’horror sia un libro sul suo autore. Scrive Bocchi nell’introduzione: “Delle storie del cinema horror questo libro rispetta la cronologia e cerca altresì di rispettare i temi a cui le storie del cinema horror abitualmente aderiscono. Le similitudini, però, finiscono qui.” Già, perché in questo libro l’attenzione posta nei confronti di titoli non sempre conosciuti, ma trasversali e cruciali, illumina il genere attraverso una leggittima contro-Storia che tributa il giusto omaggio a opere come Effects di Dusty Nelson (1979), il magnifico The Appointment di Lindsey C. Vickers (1982), capace di raccontare lo sbriciolamento dell’immagine patriarcale, ben prima che diventasse “moda”, o anche Ghostwatch, episodio di Halloween andato in onda sulla tv britannica BBC1 nel 1992 che, con la struttura di uno speciale live in tempo reale, terrorizza spettatori e teorici dei media anticipando di fatto l’horror found footage. In modo originale Bocchi attraversa gli ultimi decenni passando dal cinema politico e di “svolta” rappresentato da George A. Romero, agli horror giapponesi di Kurosawa, Shimuzu, lo stordente e surrealista Uzumachi di Akihiro Higuchi (2000), fino ai più recenti sequel, reboot, film “teorici” che riflettono sull’immagine di oggi come quelli di Jordan Peele.
Ma il contributo di questo volume non è solo quello di rileggere il genere dalla fine degli anni ’70 a oggi, ma di far scorrere questo excursus parallelamente a un racconto di formazione, sincero, aperto, in prima persona. È questa la parte più rischiosa di un volume, che si concede “intervalli” di auto-fiction. Questo rischio è anche la sfida più affascinante, capace di fare del libro di Bocchi un testo “diverso” e in qualche modo necessario, quasi un coming of age cinefilo. Un esperimento, scrive l’autore, “che prende spunto e giustificazione da una relazione familiare tra soggetto e oggetto del discorso”. So cosa hai fatto è un libro-laboratorio, che aumenta in chi lo legge la voglia di vedere film e la voglia di scrivere (di cinema e non solo), raccontando, in quasi 300 pagine che volano via, “la storia dell’horror moderno e la storia di un adolescente diventato uomo anche per merito dell’horror”.