"Soap", di Pernille Fischer Christensen

Si sente puzza di cinema d'autore preconfezionato, con ripetuti zoom nervosi che lasciano riemergere delle forme da movimento Dogma oppure si ha l'impressione che il cineasta guarda in maniera compiaciuta a quel 'cinema da camera' del Bergman di "Dopo la prova". Da elogiare comunque la prova dei due protagonisti

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Nell'ambito dell'iniziativa distributiva della Teodora chiamata "5 pezzi facili" che rende visibili sul mercato opere che hanno avuto riconoscimenti nei maggiori festival cinematografici, esce Soap, primo lungometraggio del danese Pernille Fischer Christensen, che a Berlino ha vinto (ex-aequo) il Gran Premio della giuria e il Premio come miglior opera prima. Al centro del film la vicenda di due solitudini: quella di Charlotte, una donna che ha deciso di lasciare il compagno Kristian e di andare a vivere da sola e quella di Veronica, un giovane uomo in attesa dell'autorizzazione ad operarsi per poter cambiare sesso. Il titolo prende il nome dalla soap-opera preferita di Veronica in cui il protagonista sembra proiettarsi e vivere una realtà parallela rispetto la propria. Il cineasta, che si era già fatto apprezzare per i suoi corti Indien (1999) – che aveva come protagonista Trine Dyrholm che in Soap interpreta il ruolo di Charlotte – e Habibti My Love, predilige quasi una struttura 'kammerspiel' ambientando il film all'interno degli appartamenti dei due personaggi. Le due abitazioni si trovano una al piano di sopra e una al piano di sotto. Non c'è tra le case quel passaggio attaverso il buco di The Hole di Tsai Ming-liang. Gli spazi invece sono nettamente separati e caratterizzati anche da un'illuminazione diversa. Quello di Charlotte ha dei colori freddi tendenti al grigio. Quella di Veronica è invece è più oscura ed è interrotta soltanto dalla luce del televisore che trasmette la soap-opera e in qualche modo sembra prefigurare la sua disperazione che emerge dal suo tentativo di suicidio.  Questi contatti tra i due personaggi vengono interrotti soltanto da momenti che si ripetono come le visite della madre a Veronica o dell'ex-compagno a Charlotte.

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Soap lascia anche spazi vibranti al rapporto contrastato tra le due figure principali ed ha il suo momento più libero nel momento in cui l'uomo si prende cura della donna dopo che questa è stata malmenata da Kristian. Però si sente puzza di cinema d'autore preconfezionato, con ripetuti zoom nervosi che lasciano riemergere delle forme da movimento Dogma oppure si ha l'impressione che Christensen guarda in maniera compiaciuta a quel 'cinema da camera' del Bergman di Dopo la prova che privilegia la parola, le scenografie spoglie, e un impianto teatrale evidenti nelle entrate e nelle uscite dal campo visivo dei personaggi secondari. Va comunque elogiata la prova dei due attori principali, capaci di mettersi in gioco fino allo sfinimento emotivo e fisico.


 


Titolo originale: En soap


Regia: Pernille Fischer Christensen


Interpreti: Trine Dyrholm, David Dencik, Frank Thiel, Elsebeth Steentoft


Distribuzione: Teodora


Durata: 102'


Origine: Danimarca/Svezia, 2006

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