"Soffio", di Kim Ki-duk

In concorso al 60° Festival di Cannes, un potentissimo esempio di cinema sulla seduzione, di intermittenti respiri, che rappresenta un ritorno in grande di Kim Ki-duk dopo la fase di stasi di L’arco e, in parte, di Time. Quest’opera però poi appare particolarmente folgorante nel modo in cui mostra l’atto creativo con immagini, suoni, e colori. Forse un esempio di ‘cinema nel cinema’

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La gelosia, il perdono, la speranza, la passione. L’opera di Kim Ki-duk filma ancora una volta i sentimenti in maniera eccessiva ed esplosiva e Soffiio (presentato in concorso al 60° Festival di Cannes) è da questo punto di vista una delle sue opere più radicali e potenti. Quello del regista coreano è un cinema che oltrepassa la parola – che appare sempre di più come un elemento sonoro che ha la stessa funzione dei rumori d’ambiente e della musica  – e ogni moto dell’animo emerge dal silenzio, dal gesto, dall’atto estremo. Soffio inizia con l’immagine di un carcere dove un uomo in attesa di essere condannato a morte cerca di suicidarsi. La notizia viene comunicata nei notiziari in tv e cattura l’attenzione di una donna in crisi col marito. Per dare una svolta alla sua vita decide così di andarlo a trovare spacciandosi per una sua ex-fidanzata. Una volta che si sono conosciuti, tra i due scatta una complicità che cresce sempre di più ogni volta che si incontrano.

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I luoghi chiusi dell’appartamento e della prigione hanno la stessa soffocante claustrofobia degli spazi di Ferro 3 e del bar di Time. Stavolta però, in un film sempre più riconoscibile a livello autoriale in cui si sprigiona al tempo stesso l’anima intima e dolente di Kim Ki-duk, si evidenzia anche una grandiosa, incontrollabile creatività, termine da intendersi come ‘nascita e sviluppo della creazione artistica. La protagonista, prima di conoscere il prigioniero, trascorreva il suo tempo libero plasmando delle piccole statue. Ma è nel momento in cui va a visitare il condannato a morte che nel film prende forma ed esplode questo suo gesto artistico. Ogni visita di lei è collegata ad una stagione diversa. In pieno inverno, per esempio, va in giro con un vestito estivo, tappezza le pareti della stanza del parlatorio con le immagini del mare, porta gli occhiali da soli da spiaggia e ogni conversazione (che diventa poi un’attrazione fisica incontrollata) viene preceduta da una canzone. Proprio in queste visite esplode la forza dello sguardo del cineasta, capace ancora una volta di trasformare i set e far vivere mentalmente e sensorialmente in un altro luogo rispetto a quello in cui ci si trova fisicamente.

Soffio appare quindi come un’opera di intermittenti respiri dove ogni stagione – come in Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera – appare legata a un momento della vita diverso. Le visite della donna al prigioniero è come se costruissero nell’uomo dei ricordi. Quindi una memoria che non gli è mai appartenuta oppure che ha rimosso.

L’atto creativo in Soffio si manifesta anche come frammento parziale di ‘cinema nel cinema’. Il direttore del carcere – lo stesso Kim Ki-duk – sceglie i soggetti e la durata delle azioni attraverso un computer da cui gestisce i movimenti della telecamera del carcere. È così lui, nella sua posizione di regista/creatore che stabilisce se la donna deve incontrare il prigioniero o no, se separare o meno i due personaggi nel momento in cui si stanno baciando. Verso la fine del film poi alterna le due immagini dell’atto sessuale tra la donna e il condannato a morte da una parte e, come controcampo, quella del marito di lei che sta giocando con la figlia dall’altro prima che spenga di spegnere il PC e vedere riflessa la sua immagine sul vetro dello schermo.

Con Soffio Kim Ki-duk realizza un film ancora una volta duro ma anche di struggente malinconia che si manifesta nel finale con marito e moglie che cantano una canzone della neve che cade. La riconciliazione, o meglio, l’illusione della riconciliazione, uno squarcio disteso dentro un film accumulato, densissimo di suoni e colori, che filma la seduzione con una forza e una grazia avvolgenti. Dopo la fase di stasi con L’arco e, in parte, con Time, un grande ritorno.

 

Titolo originale: Soom

Regia: Kim Ki-duk

Interpreti: Chang Chen, Ha Jung-woo, Park Ji-a, Kim Ki-duk

Distribuzione: Mikado

Durata: 84’

Origine: Corea del Sud, 2007

 

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