SOL LEVANTE – Film a episodi (seconda parte): "Memories"

Tre storie, basate su altrettanti racconti di Katsuhiro Otomo, caratterizzate da stili e toni differenti, per un'antologia che riflette sui contrasti e le affinità esistenti tra lo spazio e i sentimenti umani, tra l'infinitamente grande e l'incredibilmente piccolo

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Il nome di Katsuhiro Otomo è da sempre sinonimo di un cinema magniloquente, ampio nelle durate e caratterizzato da un autentico gigantismo della messinscena: kolossal come Akira e Steamboy ne sono un ottimo esempio, pregni come sono di eventi apocalittici e avventure che travalicano il tempo e lo spazio, arrivando a unire in un solo perimetro fantascienza e Storia. In questo senso un'operazione come quella compiuta con l'antologia Memories è molto interessante poiché si concretizza in una riflessione teorica sulla messinscena di concetti, spazi e sentimenti a largo raggio, una sorta di indagine sui contrasti e le affinità esistenti tra l'infinitamente grande e l'incredibilmente piccolo.

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Realizzato nel 1995, secondo la formula del film a episodi che aveva già avuto in Otomo un pionere grazie a opere quali Manie-Manie – I racconti del labirinto e Robot Carnival (1987), Memories si basa su tre racconti dell'autore, sviluppati insieme a un team di giovani promesse dell'animazione giapponese: il progetto iniziale, in realtà, prevedeva una serie di OAV, ma si è infine concretizzato in un film cinematografico della durata di 110 minuti. Diversamente da Manie-Manie, la matrice comune dei tre episodi rende l'insieme più compatto e, in un certo qual modo, garantisce al film un impatto meno sperimentale, sebbene i tre episodi siano tra loro differenti per toni e stili e completamente slegati l'uno dall'altro. Manca infatti anche una cornice che racchiuda il tutto e la già citata tendenza all'esplorazione dei contrasti che connota l'intero progetto fa sì che nelle singole storie siano comunque rintracciabili molteplici influenze esterne, mescolate comunque in modo originale e spiazzante.

Magnetic Rose, primo segmento del gruppo è certamente il più incisivo, soprattutto in virtù dell'eccellente cast tecnico, guidato dal regista Koji Morimoto, in anni più recenti fautore del migliore episodio di Animatrix, ovvero Aldilà; alla sceneggiatura c'è invece un ancora sconosciuto Satoshi Kon (Perfect Blue, Paprika) e alle musiche la grande Yoko Kanno (Cowboy Bebop). Il confronto tra il racconto originale "Kanojo no Omoide" ("I racconti della signora") e la controparte animata rivela una serie di differenze che rispecchiano le influenze degli autori coinvolti. I 42 minuti del racconto pagano alcuni debiti ad Alien e a 2001: Odissea nello spazio, immaginando l'avventura di un gruppo di astronauti dell'anno 2091, che, in seguito a un S.O.S., si ritrovano in una gigantesca struttura che ha la forma di una rosa meccanica. All'interno si agitano presenze inquiete che svelano come il luogo fosse originariamente abitato da Eva Fridel, una cantante lirica vissuta un secolo prima e isolatasi nel profondo spazio dopo aver perso la voce e l'uomo che amava. Una presenza, la sua, che, spalleggiata dalla tecnologia del posto, mira comunque a perpetuare i suoi sogni a scapito dei malcapitati che giungono nella dimora. Rispetto al racconto originale, che si incentra maggiormente sulle disfunzioni della tecnologia che ha creato quel mondo fittizio, in puro stile Otomo, il segmento animato dimostra una maggiore profondità facendo dell'altrodove virtuale uno specchio per le paure inconsce dei visitatori, i quali devono lottare contro le lusinghe del mondo artificiale, favorendo una serie di sequenze cariche di sense of wonder, ma anche di profonda inquietudine. In questo modo la pulsione fantascientifica del racconto si piega a una visione onirica dello spazio, esattamente come Morimoto riproporrà nel già citato Aldilà. Al contempo l'indagine psicologica sui confini tra rappresentazione e realtà, in grado di evidenziare i tortuosi percorsi della mente, anticipa Perfect Blue: l'animazione è di altissimo livello, mentre la musica alterna a brani originali alcune celebri arie liriche, come alcuni passaggi della Madama Butterfly di Puccini, che sottolineano al contempo la gloria di Eva e la sua malinconia per la felicità perduta e conferiscono all'insieme una grande forza espressiva.

Il cambio di passo che si avverte con Stink Bomb è pertanto notevole: diretto da Tensai Okamura (di recente fattosi notare con la serie Wolf's Rain, sulla quale speriamo di ritornare in futuro) per una durata di 38 minuti, l'episodio è una scoppiettante satira che coinvolge militari e scienziati in una pungente critica al sistema dirigenziale mondiale. Protagonista è infatti un banale impiegato di un'industria farmaceutica, Nobuo Tanaka, affetto da raffreddore, che cerca di curare il suo male con un medicinale di nuovissima concezione, ma diventa per questo un'arma biologica vivente che semina il panico in tutto il Giappone. Braccato dall'esercito e inconsapevole del suo potenziale distruttivo, il buffo omino inizia una traversata per raggiungere un posto abitato dove qualcuno possa aiutarlo e magari spiegargli cosa succede. Il contrasto tra grande e piccolo si ritrova nell'inserimento di piccole personalità in una situazione più grande di loro, dove una semplice pillola provoca una mutazione genetica che mette a rischio l'incolumità globale. Il gigantismo della messinscena caro a Otomo (qui nel ruolo di character design) è invece evidente nelle scene di distruzione, che coinvolgono i mezzi dell'esercito impegnati a dispiegare arsenali degni di un conflitto mondiale e in questo caso sembrano denotare un tono demistificatorio dell'autore rispetto alle proprie ossessioni. Ciò che maggiormente conta, in ogni caso, è tanto la cura che le animazioni mantengono pur nella progressiva accelerazione del ritmo, quanto l'ironia salace di una concezione del mondo che rovescia il concetto del rispetto per le autorità: militari e scienziati sono infatti ritratti come degli inetti, impegnati anche in risibili scaramucce con i soldati americani (interessati alla faccenda e a mettere in mostra i propri ritrovati tecnologici) mentre le simpatie dello spettatore sono tutte per il giovane Tanaka che riesce, suo malgrado, a mettere in scacco il sistema. Qualcuno lo ha paragonato al Kubrick del Dottor Stranamore e fatti i debiti distinguo è un accostamento tutt'altro che peregrino.

La chiusura ancora una volta è a carico dello stesso Otomo, con il più breve dei tre racconti: Cannon Fodder dura infatti soltanto 21 minuti e rappresenta un breve excursus in una realtà orwelliana, dove l'intera popolazione è impegnata nella costruzione di armi per una grande guerra contro un nemico invisibile. Il tutto è visto dalla prospettiva di un piccolo studente di ingegneria che sogna il giorno in cui potrà sparare con il grande cannone, diversamente dal padre che è addetto unicamente al caricamento dell'arma. Ancora una storia sulla guerra, dunque, ma da una prospettiva che oppone un punto di vista fanciullesco all'insensatezza del conflitto: il giovanissimo protagonista, infatti, vede la guerra come un enorme gioco e in questa sua innocenza l'autore sembra ritrovare un valore in grado di porsi come guida per un mondo che ha perso la ragione e si è ridotto a una continua reiterazione di gesti sempre uguali. Più che alla narrazione, Otomo è comunque interessato alla messinscena di un mondo, la cui grandiosità è esaltata da una regia che si snoda attraverso una serie di piani-sequenza intrecciati fra loro: una scelta che non è sterile esibizionismo tecnico (per quanto l'impatto visivo risulti prodigioso), ma corrisponde all'idea di un mondo autosufficiente poiché autoreferenziale rispetto al conflitto (non si ha bisogno di sapere chi sia il nemico poiché la guerra serve unicamente come collante sociale). Allo stesso tempo questo ricondurre il mondo a un'unica entità compatta si sposa a perfezione con la prospettiva epica e giocosa che connota il piccolo protagonista, il cui universo mitico è circoscritto al cannone e a ciò che ruota intorno ad esso e si apre anche a momenti onirici (il sogno in cui i disegni si animano). Il tutto non maschera comunque una certa inquietudine, che chiude il film nel segno degli stessi sentimenti che avevano connotato Magnetic Rose, conferendo a Memories una certa circolarità. Ciò che differisce alquanto, rispetto allo stile tipico di Otomo, è il disegno, per una volta alquanto lontano dalle tipiche caratterizzazioni del regista e più vicino all'animazione dell'est europeo, con un tracco sporco e figure più stilizzate, che pare avessero inizialmente scontentato i distributori nostrani (smaniosi di avere per le mani un prodotto più marcatamente "nipponico") ritardando l'arrivo del film in Europa.


 

Fumetto e DVD


Come già evidenziato in precedenza il primo dei tre episodi di Memories è incentrato su un racconto pubblicato anche in Italia all'interno dell'antologia "Memorie", curata da Star Comics nel 1994 e ormai fuori catalogo. L'edizione è quella occidentale, con le tavole ribaltate e colorate da Steve Oliff. Per ciò che invece riguarda l'edizione in DVD, il film è distribuito dalla Sony Pictures HE, nell'ambito del suo interessante catalogo di proposte animate. Il film è presentato in formato widescreen anamorfico 1.85:1 e le varie codifiche audio comprendono l'italiano, lo spagnolo, il tedesco e, ovviamente anche il giapponese, insieme ai sottotitoli. Il master video, nonostante sia luminoso e privo di particolari difetti soffre di una eccessiva granulosità, che smorza l'impatto dell'insieme pur non compromettendo gravemente la visione. Ottimo invece l'audio che, sebbene in italiano sia proposto con codifica stereofonica è perfettamente in grado di evidenziare la spettacolarità dell'opera: le tracce in giapponese e tedesco sono comunque in multicanale. La sezione degli extra comprende un documentario di 30 minuti, "Memories of Memories", con il promo-reel del film, le interviste a Otomo, Morimoto e Okamura e il trailer originale. Infine il trailer originale di Steamboy e quelli americani di Metropolis e Starship Troopers.

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