Some Prefer Cake 2019 – Bologna Lesbian Film Festival, XI edizione

Alla sua undicesima edizione, il Some Prefer Cake di Bologna è in ottima forma: tema centrale di questa edizione è stato quello dell’importanza di memoria, di conservarla e di riportarla alla luce

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Al tempo dei femminismi non diventa certo più semplice raccontare le vite lesbiche. Some Prefer Cake sceglie di farlo dal 2006 (quando fu ideato da due attiviste estremamente creative, Luki Massa e Marta Bencich) da una prospettiva femminista, offrendo spazio – non solo immaginari, ma anche convivialità, dibattiti e feste – a donne e soggettività non conformi, lasciando le terf (ossia le sedicenti femministe radicali apertamente transfobiche) per una buona volta – almeno una all’anno! – fuori dalla porta. Per il 2019 il visual scelto proclama “Lesbichezza mezza bellezza”, come si legge in un cartello apparso in una manifestazione degli anni Settanta. Il tema centrale di questa edizione è quello dell’importanza di memoria, di conservarla e di riportarla alla luce, perché come spiega bene un’ex assistente di Marielle Franco (attivista politica uccisa nel marzo 2018 in circostanze non così difficili da immaginare in un Brasile sempre più fascista) in Marielle and Monica di Fábio Erdos, la scomparsa di una lesbica che lotta per la propria comunità è una perdita che può invisibilizzare una moltitudine di persone che da lei si sentivano rappresentate. Analogamente accade quando a lasciarci è un’artista, come nel caso della prolifica Barbara Hammer (scomparsa lo scorso marzo), di cui è stato proiettato The Female Closet, uno dei due cult statunitensi degli anni Ottanta e Novanta di questa edizione insieme alla science fiction femminista Born in flames di Lizzie Borden, dove tra le interpreti scorgiamo anche una giovane Kathryn Bigelow. O di María Irene Fornés, che ci ha lasciato quasi un anno fa dopo essere stata una delle artefici del rinnovamento della scena off-off Broadway come drammaturga e regista, conosciuta anche per essere stata compagna della scrittrice Susan Sontag, che chiama “l’amore di una vita” e di cui fatica a parlare. Ed è un film pieno dall’inizio alla fine di amore e tenerezza quello che la vede protagonista con Michelle Memran alla regia, la cui capacità di entrare in relazione con Fornés è alla base della perfetta riuscita dell’opera. Negli States come a Bologna il film convince: è il miglior documentario sia per la giuria che per il pubblico. Riconoscimento che forse avrebbe potuto condividere con Normal di Adele Tulli, che ha ugualmente fatto incetta di premi altrove. Stupisce invece l’apprezzamento del pubblico per Carmen y Lola della basca Arantxa Echevarría, che in patria ha incredibilmente vinto un Goya come miglior esordio, la cui rappresentazione della comunità rom è stata contestata dalle lesbiche dell’Asociacion gitanas feministas por la diversidad, che l’hanno trovato un pessimo tentativo di stampo fintamente antropologico, nonché razzista e machista. Non potevano mancare a SPC i cortometraggi, e se c’è n’è uno che resta nel cuore, oltre al vincitore Yuck, è Marguerite dell’attrice e regista canadese Marianne Farley (anch’essa già premiatissima a livello internazionale), in cui un’anziana ormai malata riscopre attraverso l’infermiera che la cura a domicilio la forza del desiderio. Per chi se lo stesse chiedendo, il festival non è affatto precluso agli uomini, ed è il messicano Marcelino Islas Hernández a portarsi a casa il premio per il miglior lungometraggio narrativo con Clases de historia, in cui racconta rimanendo lontano dai cliché il rapporto tra un’insegnante e la sua studentessa. La donna, annoiata dalla vita in famiglia e affetta da un cancro, ritorna vivace grazie alla ragazzina (incinta) che si è invaghita di lei.
Alla sua undicesima edizione Some Prefer Cake è in ottima forma, forte di una direzione artistica collettiva di spessore. E se un tempo era vissuto principalmente come un appuntamento irrinunciabile, in quanto per molte raro momento di incontro tra donne che non avevano difficoltà a dirsi lesbiche e che cercavano nei film storie in cui ritrovare il proprio vissuto, oggi le programmer devono fare i conti con un pubblico sempre più esigente, sempre più connesso e più propenso ad utilizzare il web per recuperare i film che arrivano soprattutto da oltreoceano, chiedendo implicitamente loro una selezione accurata ed originale. Chi però bazzica i festival di cinema non può non chiedersi se tutto questo lavoro appassionato e in parte volontario, non retribuito, non meriti ora di essere maggiormente riconosciuto (e non si tratta di fondi o patrocini, che come ha ricordato Elisa Coco non vengono neppure cercati, in ragione di una comprensibile volontà di rimanere indipendenti). È il cinema lesbico nel suo complesso a dover crescere. E allora è necessario che i festival queer si organizzino, pur mantenendo ognuno la propria autonomia, in un network nazionale (ipotesi già ventilata, dice Coco) e si dotino di quegli apparati che hanno permesso ad altre cinematografie ritenute minori o di nicchia di crescere, come ad esempio un film market in cui gli operatori di settore determinino una migliore circolazione delle opere in programma, e delle proposte esplicitamente rivolte all’industry (produttori, distributori, film commissions, istituzioni, agenti, direzioni di canali televisivi e piattaforme varie…) comprensive di sessioni di pitching dove nuovi progetti possano trovare interlocutori sensibili. Se accadrà a breve, un’altra delle scommesse di Some Prefer Cake potrà dirsi vinta.

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QUI le pellicole vincitrici di Some Prefer Cake 2019 e le motivazioni delle giurate.

La prossima edizione del festival si terrà dal 18 al 20 settembre 2020.

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