Someday We’ll Tell Each Other Everything, di Emily Atef

Emily Atef si concentra sul passaggio storico fondamentale della riunificazione tedesca. Ma a dominare sono le dinamiche romanzesche di un racconto passionale. Concorso

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Emily Atef si concentra su un passaggio storico fondamentale, quello della riunificazione tedesca, con tutte le implicazioni e difficoltà psicologiche ed economiche. Siamo nel 1990, all’indomani della caduta del muro. In un villaggio al vecchio confine tra le due Germanie, in quello che solo fino a pochi mesi prima era il lato orientale. Ed è un tempo di cambiamenti destabilizzanti, di dubbi sul futuro, di riconciliazioni ormai insperate, al punto da sembrare forzate. Siegfried Brendel e sua moglie Marianne cercano di mandare avanti, a fatica, la fattoria di famiglia. E sognano di rinnovare l’azienda con i metodi più avanzati dell’ovest. A darne concreta opportunità è il ritorno di Hartmut, il fratello di Siegfrid, fuggito anni prima nella parte occidentale, dove ha studiato e fatto carriera. Ma questa è solo la cornice del film. La protagonista assoluta è la diciannovenne Maria, accolta in casa da Siegfried e Marianne come fosse una figlia. È amata sinceramente dal giovane Joseph Brendel. Ma lei non sa ancora che direzione dare alla sua vita. Rifiuta di andare a scuola, passa le sue giornate a leggere romanzi e a vagabondare. Finché non si infiamma per il solitario, tenebroso proprietario di una fattoria vicina, un uomo molto più grande di lei.

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Ed ecco, dunque, l’altro motivo. La passione, con tutti i suoi risvolti infuocati di desiderio e gli immancabili dolori. Un amore romantico, dunque. In linea con la gioventù di Maria. Ma anche profondamente letterario, “scritto”, nutrito di idealizzazioni e costruito su delle dinamiche narrative tipiche. Del resto, alla base del film, c’è un romanzo di Daniela Krien. E, su tutto, domina questo amore viscerale per la lettura e per la letteratura, sotto lo spirito guida di Dostoevskij e dei suoi Fratelli Karamazov, più volte tirati in ballo e persino adombrati nei rapporti tra i tre fratelli Brendel. Maria non fa altro che leggere. Proprio come la madre, senza un lavoro da anni. Così come Henner, che col suo spirito tormentato, sembra voler intenzionalmente mandare in malora la sua fattoria. Ma è tutta suggestione.

L’aspetto romanzesco finisce per influire su ogni cosa. Fino a far passare in secondo piano la traccia storica e a rendere, in qualche modo, “scontata” la trama passionale, la sostanza più profondamente emotiva del film. Persino le evoluzioni del desiderio che nutrono le fiammate erotiche, carnali, sembrano venir fuori da una pagina dell’Ottocento. E tutti i personaggi finiscono per assomigliare a figure di carta, ostinatamente legati alla loro funzione e al loro carattere stereotipato. Senza possibilità di uno scarto o di una sorpresa. Solo Maria si muove, tra l’incanto e il disincanto, tra il sogno romantico e la tragedia dell’amore. E molto probabilmente nelle sue inquietudini e incertezze adolescenziali c’è il riflesso dello spaesamento di un’intera nazione, stretta dalle incognite di un momento di svolta. Sì, si tratta di un personaggio vivo il suo, certo. Ma rimane la sensazione generale di una mancanza di corpo e nerbo. Come se il film, al di là di tutto, rimanesse esangue. Appoggiato sulla bella forma delle immagini. La ricerca della vibrazione pittorica del paesaggio, il gioco delle luci dell’estate… Anche lì, alla fine, avverti un artificio, una correzione di colore di troppo. E il peso di un figurativismo di maniera.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
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